30.7.13

Alle potestà genitoriali

Care madri e cari padri,
chissà se un giorno noi figli ci decideremo a tentare di vivere come da una vita sentiamo che dovremmo (… vedete? E’ sempre una faccenda di dovere, nella educazione che avete voluto per noi; ed il piacere non fa certo eccezione!). Ci chiediamo questo perché, in fondo, è ormai da un pezzo che abbiamo smesso definitivamente di provare ad imitare ciò che molti altri sanno interpretare, anche con una certa disinvoltura in quella interiore postura, ma che purtroppo a noi – non leggetevi tardive polemiche, per carità! – è riuscito proprio male. E credeteci, se dai ricordi ancora vi lasciate ingannare: c’abbiamo provato, non poco ci siamo applicati; come fanno i cani più docili quando, pur di vedere felice il padrone, rinunciano a capire il perché di una richiesta, tanto dolce quanto perentoria. Dunque, carissimi, chissà se un giorno tenteremo, sostituendo con delle azioni – non indecorose ma neanche ignorabili, ve lo garantiamo – tutte queste parole che, da sempre, voi non volete ascoltare pur fingendo educatamente di sentire. Chissà pure se leggereste quel che adesso idealmente vi indirizziamo, accompagnati da un imbarazzo pari alla rassicurazione che dà il non taciuto, insieme con quella levità della coscienza liberata, pronta a librarsi altrove… Succederà? Chi di noi sopravvivrà (forse) vedrà.    

28.7.13

IN MEMORIA DI ME


Attesa.
Così definirei questa mia vita
dovendo contenerla in epitaffio,
definitiva mortificazione
della sua complessità elementare.  

27.7.13

UN'EMOZIONE DI HAIKU


Mi accompagna
lei così silenziosa…
Cerea stagione.

26.7.13

PROMESSA, SPERANZA CONCESSA


Verrà il momento, temo, in cui sentirò
di dover ammazzare. O ammazzarmi.
Forse l’esito, come la scelta,
si manterrà tra i più casuali.
Ma se una cosa escluderà l’altra
io non starò ancora per impazzire.

25.7.13

PARADISI ARTIFICIALI, INFERNI NATURALI


L’alcool, al pari
d’ogni altra droga,
grinfia di longa manus,
può forse abitare un vuoto,
certo non medicare un animo.

Diletterà taluna vacua coscienza
con ictus euforici, spasmi isterici
di onnipotenza da divinità minore
che, resasi demoniaca visione,
graffierà i monili di cristalli sottili
forgiati nella più rara essenza
di chi vive, nudo, in trasparenza.

24.7.13

PROSPETTIVA


Lo sapevi che saresti
divenuto solo un'immagine su un rettangolo
di carta? Come noi tutti
e fra poco io, Aldo.
Ma tu lo sapevi, che hai troncato il filo
e se ci sei in qualche modo da qualche parte
credo proprio che mi guardi con quello sguardo
di compassione che io ti ho visto
per tante tante volte, e ti domandi
ma perché ci resta ancora
e anche lei non se ne viene qui.


Helle Busacca



23.7.13

CHI E' CIO' CHE NON HA

… e alla luce di un tempo che inizia
la luce di chi è ciò che non sa


Pativo la vista di quei vecchi
ebbri della peggior modernità,
che gridavano, impuniti come teppa,
dentro telefoni, simboli di condizione
impugnati con una preistorica devozione.

In ognuno di essi, io trovavo riflessi
dei giovani mistericamente ubbidienti:
atleti proni sotto il peso rassicurante
del conservatorismo più mortificante;
così precoci nell’usucapire,
con monogamica territorialità,
dell’adulto l’inviolabile proprietà…
Quando l’innocenza di quel patto criminale,
ratificato da un pubblico e privato ufficiale,
legittimerà ogni nostalgia di femminilità
– sia di sangue, filiale,
o d’adozione, coniugale.

Dov’era l’antico
in quei volti privi d’identità
per corpi sottratti ad ogni età?
Dove il moderno
nell’atavica amnesia di apolidi
tra stagioni ambite e rifuggite,
in volontario esilio dalle proprie vite?
Ma non chiesi, io tacqui
subendo l’assenza di coraggio
ancor più di un comune linguaggio.

22.7.13

L’ALBATRO


Spesso, per divertirsi, uomini d’equipaggio

catturano degli albatri, vasti uccelli dei mari,
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
il vascello mentre scivola sugli abissi amari.

Appena a bordo, appoggiati sul tavolato,

quei re dell’azzurro, goffi e verecondi,
lasciano strascicare, come un remo per lato,
pietosamente le due bianche ali grandi.

Alato passeggero, così maldestro e fiacco!

Lui, prima così bello, che aria buffa e ignava!
Chi con una pipetta va a stuzzicargli il becco,
chi mima, zoppicando, l’infermo che volava!

Il Poeta ricorda questo re dello spazio,

che sfida la tempesta e ride dell’arciere;
esiliato giù a terra in mezzo allo schiamazzo,
le ali di gigante gl’impediscon d’incedere.


Charles Baudelaire

21.7.13

BRUCIO’ LA’, SULLA PELLE, OGNI CREDIBILITA'


Si marchiò certo anche per esibizione
del proprio destino d’incomprensione,
oltre che per l’ebbrezza d’un sentore
di governo sul più ineluttabile dolore…

Quella inafferrabile malattia interiore
degna della medesima considerazione
in un professore, genitore, e dottore.

Ormai visibile, ogni cicatrice, solo da lui:
guarita o misconosciuta nel ricordo altrui,
di chi gli rimase ligiamente accanto
imponendo ai propri occhi di subire
quanto poi sarebbe scorso via nel pianto
che un sano dolore può sempre ripulire. 

20.7.13

La trasparenza del male

Se solo Pasolini avesse abiurato un poco prima, forse avrebbe scorto anche il male in quella trasparenza contadina. 

19.7.13

SCAVARE IL VUOTO


Strano… i ricordi, quando credono, ritornano sempre più sfocati, mentre il dolore resta così nitido, affilato nei suoi netti contorni. E' dunque un'immagine sbiadita – come avvolta, nella memoria, dalla stessa foschia di quell'alba – che pulsa in me ciclicamente, simile ad uno squarcio rimasto aperto nella mia coscienza. Una delle nostre consuete marce mattiniere ci aveva condotti all'ennesimo villaggio, da attraversare tra brividi che la spossatezza non avrebbe placato: un minuscolo agglomerato rurale, apparentemente indistinguibile dagli innumerevoli che punteggiavano con regolarità di vaiolo quelle terre disgraziate, dipinte come per macabra ironia di un verde ed un blu irreali, da fantasie infantili; sibilanti di insetti come di povertà operosa e sottomessa, che ai nostri occhi appariva, inspiegabilmente, più che dignitosa… fiera. Ma da quel posto la vita, in ogni sua espressione, sembrava essersene andata, e quel silenzio denso, fermo quanto tutti gli occhi che ci avevano fissato prima di chiudersi per sempre, era l'unico lutto concesso, cui anche il vento manifestava il proprio muto rispetto. Lì vita non ce n'era più: assente negli oggetti come negli organismi, niente lasciava credere che sarebbe mai tornata da quelle parti, tra quelle abitazioni che non avevano conservato niente dei loro gracili tetti, mentre le rare mura superstiti affioravano dal terreno arso stagliandosi patetiche come denti spezzati in gengive ritrattesi. Era come se un onnipotente arto di bestia gigantesca avesse spazzato via, con umiliante noncuranza, ogni paziente opera umana e naturale: una punizione non dispensata, tuttavia, da mano divina bensì, assai più follemente, da mano d'uomo. Quanto ai corpi, fossero persone o altri animali, dovemmo percorrere sino in fondo quel cimitero spontaneo per trovarne traccia, e scorgerli rannicchiati in diverse cataste sparse in un pianoro che doveva essere già stato, per loro, luogo di aggregazione: sembravano tutti assopiti come elefanti esiliatisi, che attendano il compimento del loro destino in pudico raccoglimento; in realtà, nelle sembianze, nient'altro che dei manichini mutilati, impregnati di morte chimica sotto un velo di nerofumo. Al confronto, il soffio di bambini su di un formicaio avrebbe tradito candore meno crudele: li avrebbe trattenuti un informe richiamo morale, che nei soldati muore al primo colpo esploso o evitato. Così filosofeggiavo tornando interiormente sino ai miei giochi d'infanzia, tra le tante visioni dove cercavo riparo a ciò che i nostri occhi non smettevano di guardare, appostati dietro al mirino di macchine fotografiche o di altre armi automatiche. Dunque era questo il Paese che si stava difendendo, ufficialmente (e letteralmente) servendolo… questa la guerra che si stava cercando di vincere, ammesso che una guerra possa determinare vincitori e vinti… questo il prossimo che si era eletto come nemico… finendo per scavare un buco sempre più largo e profondo, una fossa comune nel punto del mondo abitato da questa gente; per poi afferrare, impadronirsi materialmente del vuoto rimasto. Quel medesimo nulla che i 'cittadini liberi' della nostra società possono solo inseguire, quotidianamente, fino alla fine.        



18.7.13

CASE SENZA PADRONE


Qui vedo i libri tanto amati
che spesso hanno saputo darmi rifugio…
Ritrovo i vestiti detestati
che mai hanno saputo coprirmi
né infondermi alcuna sicurezza
nell’attraversare il rigore del mondo…
Ovunque, in questo angusto decoro,
fin dentro al confessionale dello specchio,
tracce sparse di quel che dovrei dir me…
ma che, tra queste stanze, non c'è;
se non come estraneo, ospite inatteso
di una casa che non mi appartiene
più dell’identità che altri mi hanno attribuito,
legandoci di fatto, di forza e di diritto.
Ma questo posto
resta di qualcuno che non esiste:
dunque è giusto che io lo lasci
e che rimanga vuoto e triste
come in attesa di chi, se pur tornasse,
vedremmo irreale quanto un ricordo. 

17.7.13

IL SENSO DEL BELLO

Io vedo moltitudini nel tuo ventre deserto


Quanta bellezza, perfetta compiutezza, 
in queste carni che nel tepore si scoprono,
ed in queste anime che a denudare
è la più tiepida stagione…
Quale speranza in questa giovinezza
che sfila dinanzi ai miei occhi
come già, un tempo, dalle mie membra
senza lasciarsi mai trattenere
o anche solo afferrare, carezzare, schiaffeggiare…
Che senso ha, se giustizia
non può chiedersi, all’uomo come al pensiero,
che senso può avere mettere al mondo, concedergli
tutta la purezza che degli spiriti e dei corpi
possono accogliere, celare, contenere,
quando poi dovranno versarla
con volgarità di lacrime, sangue e sudore,
solo per pagarsi quell’esistenza che rimane
confinata tra gli interrotti coiti giovanili
e le invivibili convivenze senili.    


(Ho trovato queste parole come incise sotto la pelle
d’un braccio di giovane, nutrito di sole e di attese:
florida pelle incurante che il mio sguardo ha preferito
alla fretta del paesaggio dallo schermo di un finestrino)  

16.7.13

DIVERGENZA D’AMOROSI SENSI

“In tutti i sensi come l’amore
in tutti i sensi. Per di più le ore sono passate
solo le ore. Avevano una lama affilatissima
che mi ha ferito le guance a sangue”



Son giunto, inconsciamente già da tempo, alla conclusione che innamorarsi di qualcuno – si tratti di erotismo latu sensu, di maschia o tenera amicizia, come pure di platonica fascinazione intellettuale – non implica necessariamente riuscire a voler bene. Certo, forse ormai in ben pochi di noi è compiutamente possibile il bene (nell’accezione non prettamente egoistica, ovverosia volere il bene) e, pertanto, essere in grado di darlo e di farlo, quel bene; ma io non cerco più nel prossimo degli alibi per incapacità e fallimenti personali: non ho infatti difficoltà ad ammettere che, così come sono stato – e ancora rimango, credo – capace di innamorarmi di una donna, un amico, un autore, parimenti potrei non sapermi spendere ed operare per il bene altrui (mediante azioni così come omissioni, rimanendo nel lessico biblico). Ed un’omissione cui sono stato più volte chiamato – certo, non sempre rivelandomi all’altezza – è il non pretendere la corresponsione di quei miei moti dell’animo rivolti a qualcuno che non voglia né possa ricambiare negli stessi termini (del resto, come si potrebbe voler provare un sentimento che rimanga comunque autentico e non mera autosuggestione, per una recita anche esteriore?). Perciò, in tali casi di aspettative erroneamente riposte, l’unica forma di amore che non leda la propria dignità né l’altrui libertà, credo sia quella che sappia capire quando farsi da parte per esprimersi, oltre che nell'agra consolazione del ricordo, nell’augurio che quel qualcuno possa vivere una esistenza quanto più simile a quella desiderata, ove seguire i propri personali richiami del cuore, gli unici cui ognuno sia chiamato a rimaner fedele.    

15.7.13

Alla scuola della poesia

La poesia moderna non canta più... striscia.
Però ha il privilegio della distinzione... 
non frequenta le parole malfamate, anzi le ignora.
Si prendono le parole con le pinze: a "mestruale" si preferisce "periodico", 
e si pretende che i termini medici non debbano uscire dai trattati di medicina.
Lo snobismo scolastico che consiste nel non usare in poesia che certe parole ben definite, 
a privarla di certe altre, che siano tecniche, mediche, popolari o dialettali, 
mi fa pensare al prestigio del baciamano e delle vaschette lavadita.
Non sono le vaschette lavadita a rendere le mani pulite 
né il baciamano a creare la tenerezza.
Non è la parola che fa la poesia, è la poesia che illustra la parola.
Gli scrivani che usano le dita per sapere se tornano i conti dei piedi
non sono dei poeti: sono dei dattilografi.
Oggigiorno il poeta deve appartenere ad una casta, 
ad un partito o al bel mondo.

Il poeta che non si sottomette è un uomo mutilato.
La poesia è un clamore e dev'essere ascoltata come la musica...
La poesia destinata ad essere soltanto letta e rinchiusa in veste tipografica 
non è ultimata. Il senso vero e proprio le viene dato dalla corda vocale 
così come al violino viene dato dall'archetto.
Il riunirsi in mandrie è un segno dei tempi. Del nostro tempo.
Gli uomini che pensano in circolo hanno le idee curve.
Le società letterarie sono ancora la Società.
Il pensiero messo in comune è un pensiero comune.
Mozart è morto solo, accompagnato alla fossa comune 
da un cane e da dei fantasmi.
Renoir aveva le dita rovinate dai reumatismi.
Ravel aveva un tumore che gli risucchiò di colpo tutta la musica.
Beethoven era sordo.
Si dovette fare la questua per seppellire Bela Bartok.
Rutebeuf aveva fame.
Villon rubava per mangiare.
Tutti se ne fregano!
L'Arte non è un ufficio di antropometria. La Luce si accende solo sulle tombe.
Noi viviamo in un'epoca epica ma non abbiamo più niente di epico.
Si vende la musica come il sapone da barba. 
La stessa disperazione si vende, non resta che trovare la formula giusta.
Tutto è pronto: i capitali, la pubblicità, i clienti!
Chi dunque inventerà la disperazione?
Con i nostri aerei che fregano il sole.
Con i nostri magnetofoni che si ricordano delle "voci ormai spente", 
con le nostre anime ormeggiate in mezzo alle strade, 
noi siamo sull'orlo del vuoto, confezionati come carne in scatola, 
a veder passare le rivoluzioni!
Non dimenticate che l'ingombrante della Morale 
è che si tratta sempre della Morale degli Altri.
I canti più belli sono quelli di rivendicazione...
I versi devono fare l'amore nella testa dei popoli. 
Alla scuola della poesia non si impara: CI SI BATTE!!!


Leo Ferré

14.7.13

TUTTI I MIEI DOMANI PER UN SOLO IERI


Così straziante
quello scorrere palpabile
del tempo di gioia,
vissuta come attesa,
che a noi tutti è concessa…
Forse perché v’intuiamo
già il tormento del suo rimpianto,
la caduta infinita nel futuro vuoto.


13.7.13

Perché poi vince B.

Faccio capolino con una frivola variazione sul tema del neobarbuto Dario (e, per estensione, del consociativismo sinistroide tutto): come sarà poi andata la tornata elettorale per la sua saporita metà, quell'avvenente militante (per ora) locale, con tanto zelo caldeggiata dal maturo compagno a botte di messaggini ex post imbarazzanti? Che volete, sono piccole curiosità da popolino, morbosità - spero veniali - da disoccupati qualunque, contribuenti affezionati, cittadini normali...

12.7.13

MANI REALI


Entro mura senza data di uscita
ogni sigaretta ha un valore diverso,
sapore ignoto a quelle sempre bruciate
cui ancora continueresti ad appigliarti fuori.
Perché in manicomio non hai che le tue mani...
cosa tua sola, reale, che non ti faccia così male.


Ad Alda Merini, Dino Campana,
ogni poeta ucciso o carcerato


11.7.13

TRADIRSI

… era quello un amore;
il primo; e quale e che felicità
n’ebbi…

  
Il solo tributo di fedeltà
che troverei istintivo, necessario
offrire all'amore… la sincerità.
Quell’oblio, resa di ciascun io
nei propri resti da consegnarsi,
svelandosi sino ai canti oscuri
ove tornar sempre a rifugiarsi.

Mai coniugare al futuro, come volontà,
l’istinto di amare
ch’è del tempo presente!
Sarebbe violare il confine ideale
tra amarsi e mentirsi,
illudersi e tradirsi. 


Ad Aldo Carotenuto,
un padre da cui mi sarei lasciato ascoltare
ma forse non giudicare

10.7.13

Perché il verso libero in poesia

Nel progressivo e, temo, irreversibile distacco dei versi dalla musica, ed anche dalla semplice lettura ad alta voce, la sola fisicità che conservano le parole e le idee che esse contengono, rimane la fisicità del segno sulla pagina; per l'unica lettura ormai praticata, che affratella chi scrive a chi legge: la lettura solitaria. Dunque persistenti questioni metriche non diventano che futili virtuosismi barocchi, mentre è la collocazione di ogni tratto scuro tracciato nel bianco – come, suggerirei, voce nel vuoto – che deve dettare la struttura del discorso poetico. Ungaretti questo ce l'aveva spiegato (in parte anche praticandolo), ma alcuni di noi non l'hanno mai capito, mentre altri spesso preferiscono dimenticarlo. Non lamentiamoci, allora, se della poesia non frega quasi più nulla a nessuno, quando noi stessi che la tentiamo, più che farci umili tramiti ci atteggiamo in narcisismi anacronistici!

9.7.13

L'EMANCIPAZIONE NELLA PROSTITUZIONE


Quale libertà, per le donne,

nell'obbedire alla tendenza
di questo seminudismo - tal violenza 
comunemente auspicata, scioltamente sfoggiata -
salvo farsi beni più visibili sul mercato?


Ai doverosi piaceri
del liberismo erotico

8.7.13

Lettera ai direttori dei manicomi

Signori, le leggi e il costume vi conferiscono il diritto di misurare lo spirito, questa sovrana giurisdizione, di per sé spaventevole, la esercitate a vostro criterio: lasciateci ridere. La credulità dei popoli civilizzati, dei sapienti e dei governanti, adorna la psichiatria con indefinibili aureole sovrannaturali, ed i procedimenti della vostra professione vengono accettati a priori. Inutile discutere in questa sede il valore della vostra scienza e la dubbia esistenza delle malattie mentali, tuttavia chiediamo: su cento pretesi casi patologici che scatenano la confusione della materia e dello spirito, su cento classificazioni di cui le più vaghe restano le uniche utilizzabili, quanti i nobili tentativi di penetrare nel mondo cerebrale dei vostri prigionieri? E chi tra voi, per esempio, considera il sogno del demente precoce, con le relative immagini di cui è preda, qualcosa di diverso da un’insalata di parole? Non siamo stupiti di riscontrare la vostra inferiorità di fronte a un compito esclusivamente riservato a pochissimi predestinati, ma ci schieriamo contro la concessione del diritto di compiere ricerche nel regno dello spirito a uomini che, limitati o no, trovano conferma ai loro risultati per mezzo di condanne al carcere a vita. E che carcere! Si sa: i manicomi, lungi dall’essere “case di cura”, sono orribili galere nelle quali i detenuti forniscono una comoda e gratuita manodopera e i servizi sono una regola, e tutto ciò viene da voi tollerato. A dispetto della scienza e della giustizia, il manicomio è simile alla caserma, alla prigione, all’ergastolo. Per non infliggervi la pena delle facili smentite evitiamo di porvi in questa occasione il problema degli internamenti arbitrari, non esitiamo però ad affermare che la maggior parte dei vostri pensionanti, del tutto pazzi in base alle diagnosi ufficiali, sono anch’essi arbitrariamente internati. Non ci è possibile ammettere che si ostacoli il libero sviluppo di un delirio logico e legittimo al pari di ogni altra successione di idee e di azioni umane. La repressione degli impulsi antisociali è per principio chimerica e inaccettabile: tutti gli atti individuali sono antisociali. I pazzi sono le principali vittime della dittatura sociale, in nome dell’individualità tipica dell’uomo, e poiché le leggi non hanno il potere di rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono, pretendiamo la liberazione di questi forzati della sensibilità. Sarebbe troppo facile precisare il carattere compiutamente geniale delle manifestazioni di certi pazzi, rivendichiamo semplicemente l’assoluta legittimità della loro concezione della realtà e tutte le conseguenze che ne derivano. Domattina all’ora della visita, quando senza alcun lessico tenterete di comunicare con questi uomini, possiate voi ricordare e riconoscere che nei loro confronti avete una sola superiorità: la forza.  


Antonin Artaud

7.7.13

ATTIMI POLITICI


Domenica di buon'ora,
strada e città indistinguibili,
irrilevanti…

Un consunto uomo corpulento
reso gigante su piedi d'argilla
dalla massa quasi insignificante
di quel suo anonimo animale,
solo interlocutore non verbale,
stretto palpitante tra braccia ormai inutili.

Ed ogni sguardo di passaggio,
rallentato un attimo o meno, tentennando
tra l'imbarazzo per le altrui lacrime
e l'incapacità delle proprie…

Non mi distinsi da loro,
reduce dal seggio elettorale
per un voto che, si chiosò da sponde opposte,
sarebbe stato di cambiamento, o solo di protesta.


A chi eluda la sorveglianza morale
affidata alla vergogna sociale

6.7.13

Un ricordo

Nella clemenza di quest'alba estiva... io non dormo, sogno. E vedo un amore di anni fa che, dopo mesi, se ne andò confessandomi – o recitando una confessione? In simili casi non ho mai saputo discernere – che in tutto quel tempo non si era innamorata di me: ‘Mi dispiace, ma non è successo.’ E del resto non avevo sempre auspicato che non succedesse? Però ottenerlo mi fu più amaro che rassicurante... e, come sempre nella mia poco onorevole tradizione, di fronte al suo annuncio a nulla valsero le mie timide obiezioni, forse anche dignitose nella forma ma vergognose oltre ogni decenza, nella sostanza. Dunque mi lasciò. Salvo poi, di lì ad un anno o due, scrivermi che era stato un errore farlo, perché quello che inizialmente le era sembrato non ci fosse, le si era mostrato chiaro in seguito (nato o palesato? Non indagai, mi limitai a consolarla… mantenendo precauzionali distanze). 
Questa notte lei torna nei miei sogni, rievocando in me, della vita spesa insieme, solo il suo ascendente erotico minore, quello genitale. Mi lecca i piedi, che appaiono ancor più villosi e sudici che nella realtà; li lecca e l’edonismo ostentato in questa sua ricerca della sottomissione, dell'abbrutimento, non ha effetti benefici sulla mia autostima né, come logico, sulla mia eccitazione: sortisce soltanto un vago richiamo al senso del dovere… E come all’epoca si premurò di consolarla, così nel sogno la mia dedizione fruga giudiziosa tra le sue pudenda, finché il mistero che si dischiude in ciascuna ferita femminile non mi appare bianco, sgradevolmente latteo e, tra gemiti tanto esasperati da apparirmi di sofferenza, esso non si tramuta in una pupilla: turgida sfera immacolata con al centro un'iride espressiva quanto inchiostro, che mi fissa sino a svanire al riparo della palpebra, richiusa sul mio risveglio... sipario sulla coscienza.


Un ricordo 

Non dormo. Vedo una strada, un boschetto,
che sul mio cuore come un’ansia preme;
dove si andava, per star soli e insieme,
io e un altro ragazzetto.

Era la Pasqua; i riti lunghi e strani
dei vecchi. E se non mi volesse bene
pensavo e non venisse più domani?
E domani non venne. Fu un dolore,
uno spasimo verso la sera;
che un’amicizia (seppi poi) non era,
era quello un amore;

il primo; e quale e che felicità
n’ebbi, tra i colli e il mare di Trieste.
Ma perché non dormire, oggi, con queste
storie di, credo, quindici anni fa? 



Umberto Saba

4.7.13

L'esistenza applicata

Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.


A vent'anni io andavo per locali da solo,
cercando il piacere e provando solo vergogna.

A ventidue vegliavo con la televisione,
provando ad ingannare il tempo necessario a scordarmi di un amore.

A ventiquattro mi tiravo dietro tutta l'astiosa delusione famigliare,
uscendo con gente cui non importava di sé, credo, molto più che di me.

A ventisei ero uno di quegli inutili, tardi laureati 
che ormai credevano solo nel buio e nell'alcool per sfogare la propria frustrazione,
espiare ogni loro illusione.

A ventotto il dio femmina aveva deciso di trovar qualcosa in me,
mentre imparavo quanto cara si paghi quel po' di euforica emozione
scambiata per felicità.

A trenta iniziavo a vivere già tra il passato 
ed un futuro sempre meno credibile, ma ancora atteso.

A trentadue incontravo il primo amore 
che si lasciasse raggiungere, non solo inseguire:
nell'altrui rischio preso, il proprio coraggio riflesso, 
trovato qui e adesso... In ogni passo puro terrore, 
in ogni respiro rarefazione da sommità mai esplorate;
nella lucida prospettiva che tutto è in gioco, che questa dev'essere la vita.

A trentacinque, se proprio devo, mi capita di voltarmi
e di restare senza parole, in un silenzio che vorrei di pudore,
alla domanda, indolente come l'accidia che la muove, 
'Ma non rimpiangi la tua giovinezza?'
... Ed è poi lì, in quella retorica molle e cadente, 
che trovo vera consolazione per non aver mai avuto vent'anni. 
O almeno, non quelli degli altri.

3.7.13

Elogio dell'ozio sessuale o Dell'astinenza come astensione

Se per andar di corpo ogni volta che se ne presenti lo stimolo ci si dovesse ingegnare per compiacere il custode di una pubblica latrina, che fare? Forse considerare la possibilità di limitarsi alle evacuazioni strettamente indispensabili, e nei restanti casi tenersela, insieme con quel fardello, inestimabile quanto gravoso, di dignità e libero arbitrio. Credo stia tutta qui la mia morale sessuale (come ogni costruzione mentale, tanto robusta sul piano teorico quanto fragile, ai limiti dell'ossimoro, nella vita reale); ad ogni modo, di questa dispongo, scevra, per quanto possibile, dei tabù cristiani come dei totem consumistici: forme antitetiche ma ugualmente efficaci d'istigazione al libertinaggio, quell'imperativo copulatorio compulsivo e fine a sé stesso, che da mezzo - procreativo o ricreativo - si è trasformato in fine. Un po' come il lavoro, il denaro, la tecnica, l'idea di un dio... tutti strumenti al servizio dell'umanità, dai quali quest'ultima si è lasciata poi asservire. 
Banale forse... proprio come sa essere, o diventare, il male.

2.7.13

Il silenzio è d'oro. Il rumore, loro.

"Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere."

Il rumore è un nemico: nemico del pensiero, figurarsi della scrittura, l'unica sua trasmissione duratura. Forse questo rumore non sarà ovunque, non ancora, ma nelle società funzionali come la nostra, il silenzio è inequivocabilmente bandito – assente, o comunque temuto e combattuto. Il pensiero nuoce al sistema, il rumore nuoce all'individuo.

1.7.13

Per una lettera che forse mai scriverò (specie se in francese...)

Sottilmente invitato a pronunciarsi su Céline nel corso del carteggio con Bernard-Henri Lévy (Nemici pubblici, Bompiani, 2009), neanche Houellebecq risparmia al lettore la sua piccola dose di banale veleno pregiudiziale, in una non casuale genericità di accuse, tra cattiva conoscenza e peggiore coscienza: “Nel complesso, considero Céline un autore sopravvalutato. Dopo il Viaggio al termine della notte, il livello cala, il suo stile diventa sempre più pretenzioso, pacchiano. […] Porre Céline e Proust sullo stesso piano mi è sempre sembrato come una mancanza di buon gusto, la prova comunque che non si sa affatto di che cosa si stia parlando.” O ancora: “In fondo, l'elogio che Céline fa della musica a scapito delle idee che abomina persegue, mi sembra, un doppio obiettivo tattico. In primo luogo, far credere che fosse lui stesso detentore di una musica di ordine superiore, mentre non aveva fatto altro che utilizzare la musica popolare del suo tempo, con le sue limitazioni. E poi, far scordare che di idee non ne aveva, oppure di molto cretine, genere antisemitismo. Ciò non toglie che Céline, buon romanziere senza genio, eccella nel pamphlet, genere che corrisponde perfettamente al suo animo cattivo e vendicativo […]”.


Monsieur, trovo giusto avvertirla che io ho sempre finito per amare gli uomini intuiti o intravisti dietro a quegli autori di cui poi non avrei più potuto fare a meno. Dunque, nel pronunciarmi per difendere la loro memoria dalla menzogna, so di non avere alcun distacco. Né vorrei acquisirlo. Si può combattere con distacco? Forse si può, si deve addirittura, ma allora bisognerebbe cambiar nome alla cosa, e chiamarla guerra.