6.7.13

Un ricordo

Nella clemenza di quest'alba estiva... io non dormo, sogno. E vedo un amore di anni fa che, dopo mesi, se ne andò confessandomi – o recitando una confessione? In simili casi non ho mai saputo discernere – che in tutto quel tempo non si era innamorata di me: ‘Mi dispiace, ma non è successo.’ E del resto non avevo sempre auspicato che non succedesse? Però ottenerlo mi fu più amaro che rassicurante... e, come sempre nella mia poco onorevole tradizione, di fronte al suo annuncio a nulla valsero le mie timide obiezioni, forse anche dignitose nella forma ma vergognose oltre ogni decenza, nella sostanza. Dunque mi lasciò. Salvo poi, di lì ad un anno o due, scrivermi che era stato un errore farlo, perché quello che inizialmente le era sembrato non ci fosse, le si era mostrato chiaro in seguito (nato o palesato? Non indagai, mi limitai a consolarla… mantenendo precauzionali distanze). 
Questa notte lei torna nei miei sogni, rievocando in me, della vita spesa insieme, solo il suo ascendente erotico minore, quello genitale. Mi lecca i piedi, che appaiono ancor più villosi e sudici che nella realtà; li lecca e l’edonismo ostentato in questa sua ricerca della sottomissione, dell'abbrutimento, non ha effetti benefici sulla mia autostima né, come logico, sulla mia eccitazione: sortisce soltanto un vago richiamo al senso del dovere… E come all’epoca si premurò di consolarla, così nel sogno la mia dedizione fruga giudiziosa tra le sue pudenda, finché il mistero che si dischiude in ciascuna ferita femminile non mi appare bianco, sgradevolmente latteo e, tra gemiti tanto esasperati da apparirmi di sofferenza, esso non si tramuta in una pupilla: turgida sfera immacolata con al centro un'iride espressiva quanto inchiostro, che mi fissa sino a svanire al riparo della palpebra, richiusa sul mio risveglio... sipario sulla coscienza.


Un ricordo 

Non dormo. Vedo una strada, un boschetto,
che sul mio cuore come un’ansia preme;
dove si andava, per star soli e insieme,
io e un altro ragazzetto.

Era la Pasqua; i riti lunghi e strani
dei vecchi. E se non mi volesse bene
pensavo e non venisse più domani?
E domani non venne. Fu un dolore,
uno spasimo verso la sera;
che un’amicizia (seppi poi) non era,
era quello un amore;

il primo; e quale e che felicità
n’ebbi, tra i colli e il mare di Trieste.
Ma perché non dormire, oggi, con queste
storie di, credo, quindici anni fa? 



Umberto Saba

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