16.6.12

La morte del prossimo

Morto Bertolucci - non lui, il fratello non dotato. L'avevo servito a tavola più d'una volta, in quel di Bologna: solito presentarsi a pranzo quasi in orario da cena di crucchi e yankees, nonché uso a lunghe permanenze digestive, mai che abbia degnato di risposta o alzata di sguardo il mio imposto 'Posso portar via?'. Che aggiungere, nel congedo? Riposa in pace, povero coglione, e rassegnati se puoi: non esiste artista minore.

P.S.
Per dovere di cronaca, Pasolini prossimo nostro è una cosa sua di cui consiglio la visione. Anche perché cosa ci sia di suo, a parte il nome, ignoro.

9.6.12

Vademecum

Si fa poesia... perché occorre farla.

Giuseppe Ungaretti



8.6.12

Le sole lacrime
 

Le sole lacrime
per cui non ho vergogna
Le sole lacrime
in cui trovo speranza
Sono le lacrime
che silenziose scorro
in mia presenza

In un solo canto di mondo
che d’ogni altro
serba l’ignota assenza
In una sola voce d’uomo
d’ogni padre mai stretto
al singulto del mio petto
segreto d’amorosa esistenza

- Ascoltando I fiumi recitare,
sentendo un mio zigomo rigare -



A mio nonno,
memoria, in morte,
di quanto in vita rivelato:
un padre sempre avrei trovato

5.6.12

I NOSTRI CORPI CELESTI

 

Esordisco consentendomi un aneddoto personale che trovo discretamente pertinente: prima di arrivare, ormai trentenne, a maturare la necessità di sentirmi anche formalmente estraneo all'istituzione Chiesa Cattolica Apostolica Romana e dunque esercitare il diritto - che, colpevolmente, ignoravo - di sbattezzarmi, sono passato anche io attraverso tutte le tappe della via crucis sacramentaria, e quattordicenne ho ricevuto dunque il sacramento della Confermazione. Ricordo che, a "sintonizzazione con Dio" avvenuta (per citare la pellicola in questione), ci si scambiavano commenti che in altre epoche avrebbero avuto come sfondo le tanto rimpiante case chiuse dalla Merlin: il reciproco interrogativo ricorrente era infatti 'Ma tu, hai sentito qualcosa?'. Naturalmente i catechisti e le catechiste, ben più giovani e avvenenti (e, suppongo, sfuggenti alle mortificazioni della carne ex iure canonico vigenti) della Perpetua che ci si propone, ci avevano da tempo ammoniti a non attendere chissà quale moto interiore contestuale alla celebrazione - in fondo, non si trattava che di confermare quell'ingresso nei Sacri Misteri compiutosi con la masticazione del corpo e sangue di Cristo, che a sua volta non aveva (al di fuori di qualche inevitabile effetto di suggestione) provocato, a mia memoria, alcuna folgorazione sulla via di Damasco.
Scusandomi per il nostalgico excursus autobiografico, e venendo all’opera oggetto di recensione, vorrei preliminarmente notare come sia un bene che di una regista ed autrice si tratti: possiamo così temere un po’ meno circa inquietanti pulsioni erotiche represse e ragionare del lavoro in sé. Naturalmente, se assolutamente arbitrario e dunque delinquenziale sarebbe attribuire malcelati voyeurismi in fase di scrittura prima e di direzione dopo, credo sia invece legittimo esprimere un’opinione (che resta tale e personale, beninteso) secondo la quale il cinismo con cui si è scelto di far denudare la protagonista, farle recidere i capelli, farle scoprire la sua femminilità adulta in una macchia sui pantaloni, è assolutamente odioso nonché preoccupante, e nulla importa la sostanziale inutilità o ridondanza diegetica delle scene in questione: credo che ad una attrice che per la giovanissima età non può che considerarsi prima di tutto una persona, determinate prove recitative non andrebbero affatto proposte. Ciò dovrebbe valere anche per gli adulti, ma sebbene non condivida la disinvoltura con la quale molte attrici (chissà perché, anche in ambito di “cinema d’autore” si richiede sempre più a loro una certa esposizione del corpo) si prestano a determinate interpretazioni, resta una scelta compiuta da adulti che, anche per il dato anagrafico, si presumono consapevoli.
Come non ricordare, a tal proposito, il durissimo e necessario Dei bambini non si sa niente? Al di là degli intrinseci meriti artistici che renderebbero impari oltre che fuori luogo ogni raffronto, l’intatto rigore morale che muoveva quella narrazione - imperniata su aspetti assai più crudi e drammatici dell’universo infantile ed adolescenziale - stava anche nel raccontare una realtà facendola rivivere nella memoria o nell’immaginazione della scrittrice: l’unica a farsene così doloroso carico nella creazione. Cosa che non può avvenire, va da sé, in un’opera d’arte figurativa: dove il rispetto dei corpi e delle menti che si fanno anch’essi opera dovrebbe nascere da un pudore ed un rigore che credo manchino, al di là di qualunque abilità tecnica e narrativa (che francamente non osannerei come ho visto fare quasi coralmente) a questa regista.
Tutto ciò mi impedisce - non che sia fondamentale - di esprimere un compiuto giudizio di merito. Nella circostanza giudico le premesse, la messa in scena, e ciò mi risulta ostativo di ogni ulteriore valutazione. Ma qualche considerazione sul film in sé vorrei farla comunque - l'espressione, pur sacrosanta, della pura indignazione mi sembra poca cosa a giustificazione di queste righe. Mi limiterò di seguito a rilevare scelte narrative complessivamente oscillanti da un’insistenza intollerabilmente ridondante ad una inconsistenza francamente dilettantesca: il tutto avvolto in un “paesaggio nella nebbia” (la menzione di Angelopoulos non risulterà casuale a chi ricorderà certo struggente peregrinare infantile di quella pellicola) di raro sopore. Inconsistenza dei personaggi: evanescenti come la madre così dolce, fragile, debole (per tacere del padre, che se nessun ruolo doveva avere all’infuori di una stretta di mano di presentazioni, zittire l’isterica figlia maggiore, giocherellare con il telefonino, poteva anche essere espunto, senza che se ne avvertisse mancanza, dall’economia della narrazione) o brutalmente tagliati sino alla caricatura (peccato, tra questi, per il sempre bravo Carpentieri costretto in poco più di una comparsata da savonaroliano asceta). Come caricaturale, benché tristemente plausibile in termini di realismo, mi rendo conto, è la descrizione del processo di mondanizzazione della Casa del Signore: ma francamente proporci, mi si passi la terminologia sportiva, un minutaggio simile di catechismo e clientelismo quale scopo avrebbe? Voglio dire, ci si è chiesti quali occhi dovrebbe aprire una simile rappresentazione del lavaggio cerebrale di spaesati giovanissimi nonché di strumentalizzazione dell’indigente bue popolo adulto? Non mi si fraintenda, tendo ad appoggiare quasi a priori qualsiasi tentativo di denuncia di quell’associazione a delinquere
(è ormai dimostrato anche in punto di diritto) che mi ha tenuto, letteralmente, a battesimo. Ma farlo in tali termini credo, per restare in tema, significhi predicare ai convertiti. Similmente ai tornei sportivi vaticani dello psicologo Moretti, la sensazione è anche qui quella di voler essere originali e brillanti ad ogni costo (non a caso ci si guarda bene dall’inserire un abusato figuro clericale “amante” dei bambini), fregandosene disinvoltamente dell’efficacia ed opportunità dei linguaggi scelti nel rapportarsi ad una materia ancora centrale nelle periferie e semiperiferie del mondo, quale la religione (fondamentalmente cattolica) nelle sue complesse ramificazioni istituzionali di potere spirituale e temporale. Pazza voglia di originalità trasuda anche nell’accenno (che resta tristemente tale: non una parola di spiegazione) dell’emigrazione di ritorno che finisce per fare da avvio narrativo e nulla più.
Concludo sul viso della protagonista: perché oltre al viso, effettivamente toccante ed espressivo, nella sua involontarietà, c’è poco altro. Siamo ben lungi dal dirigere i giovanissimi con la matura sapienza di un Amelio o con l’umile amore per il cinema e per i suoi interpreti di un esordiente Rossi Stuart. Non basta far vagare tanta angelica purezza tra macerie paesaggistiche, edilizie ed umane, nonché, impietosi, farle scorrere davanti ai trasparenti occhi le peggiori profanazioni, letterali (i cuccioli uccisi) e simboliche (il Cristo caduto) per guadagnarsi una credibilità artistica (ed umana: un simile cinismo io non lo dimentico) che possa sopravvivere ai circostanziali, entusiastici elogi che non si negano ad alcuna “giovane promessa” italiana.
Chiedo venia, congedandomi, per certi toni. Ma se la visione ci ricorda che Cristo era furioso, e Dio ci ha fatti a sua immagine e somiglianza, sillogisticamente…




4.6.12

EX CATHEDRIS
  

Da mero sociologo amatoriale,
già opinionista provinciale,
a mesto fuoricorso di comunicazione…
O miei cinema, musica, televisione,
d’obliarvi mi resta la tentazione,
mentre d’odiarvi dispero la passione,
come casi liceali di un’unica declinazione.
Tronfie matrioske dal contenuto
all’incurante loro ventre sconosciuto
o scaltro ricattatore
di un perentorio vettore:
questa, per voi, la mia traduzione!

Nell’ennesimo rimando fatale
all’autoassoluzione più puntuale
scaricando sulle stinte creste alienate
d’elettroniche teste d’acido bruciate
un ricorso di “paralisi culturale”
nel loro disfacimento tribale.

Cinema,
o timore di esprimere un’opinione
che non sia d’educata compagnia
a meno – per i più audaci –
di non citare l’intera filmografia.

Televisione,
o con lo schermo interloquire
quale precoce demenza senile
a rivendicare una residua forma
d'individuale esistenza civile.

Musica, o liriche a memoria
tra sottecchi imbarazzati
dal circo dei sempre giovani invasati
per ripetersi dentro quanto abbiano ragione
e non ravvisare di sé, fuori,
da essi alcuna distinzione.

3.6.12

LA POCHEZZA DEL SOMARO


Premetto l'intento di tenermi accuratamente lontano dall'insidiosa categoria della commedia all'italiana nel giudizio che farò seguire: intellettuali ben introdotti in certe conventicole romane come da azienda famigliare Castellitto-Mazzantini avrebbero gioco troppo facile nel ribattere che simili sacre categorie della settima arte non si debbano scomodare.
Mi limiterò così a teorizzare la risata (meglio se strappata di pancia) come incrollabile alibi dietro cui consumare i peggiori delitti (beninteso, autoriali).
E' il caso di questo Somaro, nel quale – leggo già sulle pagine di Film Tv – non si capirebbe dove gli autori vogliano andare a parare. A mio avviso, che non decidano affatto di andare in alcun luogo a parare, ma lo facciano con scaltra programmaticità, sembra abbastanza chiaro. In fondo, se un'abbozzata analisi socio-antropologica allestita con la frettolosità di un presepe di muschio e legno a testimoniare legami radical con la cultura contadina, mostrasse tutta la sua pochezza, si potrebbe sempre dichiarare che si voleva soprattutto far ridere e sorridere (di noi stessi, in primis), e che il cinema italiano d'autore è ben altro: dalle parti di casa Castellitto-Mazzantini (chissà sul citofono quale nome precede...) non si ambisce certo a misurarsi con i Monicelli, Risi, Scola vari.
Se tali fossero gli intenti credo che il film sia più che riuscito: un'infilata di maschere del tutto inconsistenti appioppate a facce grondanti la romanità di nascita e d'adozione più deteriore (“come un gregge intorno a poche biade” per scomodare un poeta che la profanità del contesto mi porta a non nominare). Interpreti, in un sapiente ventaglio generazionale, rigorosamente del “giro giusto”, canterebbe Bugo, utilizzati con cinica consapevolezza dei personali limiti (il riferimento alla Morante credo sia esemplare) per poi venir tosto nobilitati come sommi patrimoni del cinema nostrano: non a caso più apprezzati all'estero, magari, che nell'ingrata patria. Dulcis in fundo, il finalino sì goffamente consolatorio da risultare risibile anche un suo ipotetico intento ricattatorio: la famigliola fedifraga e frigida che si riconcilia, recuperando l'erotica complicità smarrita, dinanzi al bipartisan porco arrostito, al richiamo d'un filiale grugnito, è un atto d'amore per il Ferreri più mortual-popolare che solo simili custodi e rinnovatori della tradizione potevano confezionare. 
Per non farla troppo lunga, il massimo delle stellette valutative, senza esitazione!

P.S.
Qual struggente, parabertolucciana alba toscana sulle note del rock più piacione... e quanto rimpianto per la mia piccolo-borghese estrazione!



2.6.12

LA LUCE DELL'ANIMA


Stava scrivendo una tesi su Walt Disney:
leggendo si mordeva le nocche
quando non presa dal far ruotare
una caramella ed il suo bastoncino.

La notai forse in quella tarda mattinata,
la sala studio ormai quasi vuota,
quando con irremovibile sufficienza
zittì la concitazione da comare
di due studiose della mia classe liceale.

Presto le avrei portato
i bastoncini più simili ai suoi
che avessi trovato
- due, nella speranza
che almeno un gusto avrebbe gradito -
ed un fumetto patinato
consiglio del nerd commesso,
per i miei vent'anni già attempato.

Prima che la sua amica fidata,
da un mobile ancor elitario avvisata,
accorresse lieve a trarla d'impaccio,
trovai la forza di chiederle
tra le mie una sua mano
e quelle ferite che la solcavano
dissi fessure da cui filtrava
la luce della sua anima.

In quegli anni in cui i farmaci
finanche la vergogna
dovevano aver frastornato,
similmente avvicinavo ogni ragazza
che, credevo di sentire,
mi avrebbe potuto voler del bene.

Con lei dirmi sfortunato non potrei:
al suo ragazzo avrà suggerito ironia
per la mia candida assurdità
la sua fidata gelosia.
Questo mi giunse riflesso
in quel bluastro viso
sino agli zigomi raso.

Riconosciuta anni dopo
- quell'ubriachezza già invecchiata
di chi, dopo anni, si è appena lasciata -
mi fece pena, prima che imbarazzo o rabbia.
Non sostenni dunque il suo sguardo:
anche il mio tempo era passato.

Una notte, poi, l'avrei sognata.
Da lì il ricordo, questa pagina, sarebbe nata.

1.6.12

TERRA DI GUERRA


Credi che ogni soldato al fronte
scrivesse alla propria famiglia
quanto, in quella terra di guerra,
d'irrevocabile fare e subire?

Credi che ogni padre reduce
riportasse fino a casa
quanto da quei giorni lasciato
ad ogni suo giorno a venire?

Credi che ogni uomo internato
chiedesse di recidere la sorte
dal proprio innocente amato
per isolare semplicemente
il contagio di quella dannata morte?

Credi sia pura narrazione
quella straziata emozione
di tutti i visitatori
rimasti in attesa nei parlatori?


Credi, non puoi capire.
Cerca di comprendere, sentire.



A Cris,
e le nostre comprensive incomprensioni