3.6.12

LA POCHEZZA DEL SOMARO


Premetto l'intento di tenermi accuratamente lontano dall'insidiosa categoria della commedia all'italiana nel giudizio che farò seguire: intellettuali ben introdotti in certe conventicole romane come da azienda famigliare Castellitto-Mazzantini avrebbero gioco troppo facile nel ribattere che simili sacre categorie della settima arte non si debbano scomodare.
Mi limiterò così a teorizzare la risata (meglio se strappata di pancia) come incrollabile alibi dietro cui consumare i peggiori delitti (beninteso, autoriali).
E' il caso di questo Somaro, nel quale – leggo già sulle pagine di Film Tv – non si capirebbe dove gli autori vogliano andare a parare. A mio avviso, che non decidano affatto di andare in alcun luogo a parare, ma lo facciano con scaltra programmaticità, sembra abbastanza chiaro. In fondo, se un'abbozzata analisi socio-antropologica allestita con la frettolosità di un presepe di muschio e legno a testimoniare legami radical con la cultura contadina, mostrasse tutta la sua pochezza, si potrebbe sempre dichiarare che si voleva soprattutto far ridere e sorridere (di noi stessi, in primis), e che il cinema italiano d'autore è ben altro: dalle parti di casa Castellitto-Mazzantini (chissà sul citofono quale nome precede...) non si ambisce certo a misurarsi con i Monicelli, Risi, Scola vari.
Se tali fossero gli intenti credo che il film sia più che riuscito: un'infilata di maschere del tutto inconsistenti appioppate a facce grondanti la romanità di nascita e d'adozione più deteriore (“come un gregge intorno a poche biade” per scomodare un poeta che la profanità del contesto mi porta a non nominare). Interpreti, in un sapiente ventaglio generazionale, rigorosamente del “giro giusto”, canterebbe Bugo, utilizzati con cinica consapevolezza dei personali limiti (il riferimento alla Morante credo sia esemplare) per poi venir tosto nobilitati come sommi patrimoni del cinema nostrano: non a caso più apprezzati all'estero, magari, che nell'ingrata patria. Dulcis in fundo, il finalino sì goffamente consolatorio da risultare risibile anche un suo ipotetico intento ricattatorio: la famigliola fedifraga e frigida che si riconcilia, recuperando l'erotica complicità smarrita, dinanzi al bipartisan porco arrostito, al richiamo d'un filiale grugnito, è un atto d'amore per il Ferreri più mortual-popolare che solo simili custodi e rinnovatori della tradizione potevano confezionare. 
Per non farla troppo lunga, il massimo delle stellette valutative, senza esitazione!

P.S.
Qual struggente, parabertolucciana alba toscana sulle note del rock più piacione... e quanto rimpianto per la mia piccolo-borghese estrazione!



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