SHE’S HALF MY AGE – LA SOLITUDINE DEI VETERANI
“Do androids dream of electric sheep?”
Tante, troppe ormai le mattine
in cui non vedo in voi che le bambine:
per cui non ebbi coraggio, incoscienza
La figlia di cui mai mi tolsi la voglia,
in cui non cercai rifugio né ostentai alibi
nostra incurabile malattia.
tra l’odore di petrolio ancora rassicurante
che dall’Est giunge nella sabbia graffiante,
vi frugo una ad una, vi scorro lente
come in perdute offerte votive, solenni.
Quando gracili come cuccioli randagi
o sfatte come burrose mignotte
al recinto dei set vi consegnate
tra cautele soffocate e fierezze ostentate
sin dalle valli suburbane
fonde, velenose, sterminate;
o già lì: ancora inermi, raggomitolate
dei nostri grotteschi focolari in affitto.
Per quei vostri capelli ancora liberi o raccolti,
quegli occhi puliti e bianchi di promessa cocaina,
solo un padre, impossibile e inevitabile.
Un padre che ritrova le sue creature,
in mattine sempre nuove e familiari.
In petto l’infaticabile ideale
di avere per loro ancora qualcosa:
qualcosa da dire, da lasciare.
vedo quanto perdutamente seduce l’uomo,
ogni vita negata dalla vita scelta o consegnata,
ogni inverosimile esistenza bruciata
da quell’unica, tremula fiammella osata.
Vedo me, quando ero un volto
senza volto da inquadrare.
Vedo me e tutte le vostre sorelle
perdute in questa metropoli bulimica di speranze sole,
di forze stremate, morte disperate.
Quando ero solo un palestrato frustrato,
neanche culturista mai arrivato,
quanto tenaci quelle dolenti erezioni,
pudicamente assenti ormai le emozioni:
i vostri seni di donne, le vostre mani di bambine
rubati in quei chilometri di esistenza comune
dalla distanza beffarda del mio sedile,
conservati feroce negli occhi della testa
durante le lunghe polverose ripetizioni in palestra
fino alla liberazione che mi concedevo a fine sessione.
quella promessa lontana, sempre tradita,
giungere piano, farsi vita
nel tocco delle vostre vergini dita
forgiate per condurre la mia verga nodosa
in ogni nervo, ogni vena, ogni ragione
Nei vostri occhi concessi in un sorriso ritrovato
solo a scena finita, intuendomi ormai innocuo
nell’unica fatale nudità dell’uomo,
l’unica che non possa ingannare:
che lo segue di un passo, appena venuto;
svanendo al ritorno del desiderio.
Infine regista, quell’appetito senza fame,
quell’ultimo gioco d’eccitazione senza erezione,
quell’impulso insaziabile di venirvi a cercare:
nei parchi, rivenditori di bimbi per froci e spacciatori;
lungo le spiagge, avvelenate di surfisti finiti come liquori;
dietro ai parcheggi, i lunghi digiuni allucinati
d’hamburger fumanti dentro nafta, asfalto, copertoni.
Voi tutte, per cui sono stato
desiderato e disprezzato,
Voi che avete colmato nell’illusione
soave come la ferocia innocente
di chi non conosce il male,
quella nostalgia di voi mai incontrate
quando avrei potuto senza vergogna,
avrei voluto
ma ancora non eravate nate.
E non c’è fame che si possa placare
se del digiuno si sia nutrita:
non c’è palestra, gang bang, viagra
che sottragga la mia carne alla sua piaga.
Non avrà fine, morirà con me.
E prima di far tacere questo richiamo,
liberarmi da questo corpo e dal suo padrone,
io vi volevo ringraziare.
Nell'infantile speranza
che mi possiate ricordare
oltre il tempo di un ultimo anale.
Ad Arnold Schwarzenpecker