19.7.13

SCAVARE IL VUOTO


Strano… i ricordi, quando credono, ritornano sempre più sfocati, mentre il dolore resta così nitido, affilato nei suoi netti contorni. E' dunque un'immagine sbiadita – come avvolta, nella memoria, dalla stessa foschia di quell'alba – che pulsa in me ciclicamente, simile ad uno squarcio rimasto aperto nella mia coscienza. Una delle nostre consuete marce mattiniere ci aveva condotti all'ennesimo villaggio, da attraversare tra brividi che la spossatezza non avrebbe placato: un minuscolo agglomerato rurale, apparentemente indistinguibile dagli innumerevoli che punteggiavano con regolarità di vaiolo quelle terre disgraziate, dipinte come per macabra ironia di un verde ed un blu irreali, da fantasie infantili; sibilanti di insetti come di povertà operosa e sottomessa, che ai nostri occhi appariva, inspiegabilmente, più che dignitosa… fiera. Ma da quel posto la vita, in ogni sua espressione, sembrava essersene andata, e quel silenzio denso, fermo quanto tutti gli occhi che ci avevano fissato prima di chiudersi per sempre, era l'unico lutto concesso, cui anche il vento manifestava il proprio muto rispetto. Lì vita non ce n'era più: assente negli oggetti come negli organismi, niente lasciava credere che sarebbe mai tornata da quelle parti, tra quelle abitazioni che non avevano conservato niente dei loro gracili tetti, mentre le rare mura superstiti affioravano dal terreno arso stagliandosi patetiche come denti spezzati in gengive ritrattesi. Era come se un onnipotente arto di bestia gigantesca avesse spazzato via, con umiliante noncuranza, ogni paziente opera umana e naturale: una punizione non dispensata, tuttavia, da mano divina bensì, assai più follemente, da mano d'uomo. Quanto ai corpi, fossero persone o altri animali, dovemmo percorrere sino in fondo quel cimitero spontaneo per trovarne traccia, e scorgerli rannicchiati in diverse cataste sparse in un pianoro che doveva essere già stato, per loro, luogo di aggregazione: sembravano tutti assopiti come elefanti esiliatisi, che attendano il compimento del loro destino in pudico raccoglimento; in realtà, nelle sembianze, nient'altro che dei manichini mutilati, impregnati di morte chimica sotto un velo di nerofumo. Al confronto, il soffio di bambini su di un formicaio avrebbe tradito candore meno crudele: li avrebbe trattenuti un informe richiamo morale, che nei soldati muore al primo colpo esploso o evitato. Così filosofeggiavo tornando interiormente sino ai miei giochi d'infanzia, tra le tante visioni dove cercavo riparo a ciò che i nostri occhi non smettevano di guardare, appostati dietro al mirino di macchine fotografiche o di altre armi automatiche. Dunque era questo il Paese che si stava difendendo, ufficialmente (e letteralmente) servendolo… questa la guerra che si stava cercando di vincere, ammesso che una guerra possa determinare vincitori e vinti… questo il prossimo che si era eletto come nemico… finendo per scavare un buco sempre più largo e profondo, una fossa comune nel punto del mondo abitato da questa gente; per poi afferrare, impadronirsi materialmente del vuoto rimasto. Quel medesimo nulla che i 'cittadini liberi' della nostra società possono solo inseguire, quotidianamente, fino alla fine.        



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