1.7.13

Per una lettera che forse mai scriverò (specie se in francese...)

Sottilmente invitato a pronunciarsi su Céline nel corso del carteggio con Bernard-Henri Lévy (Nemici pubblici, Bompiani, 2009), neanche Houellebecq risparmia al lettore la sua piccola dose di banale veleno pregiudiziale, in una non casuale genericità di accuse, tra cattiva conoscenza e peggiore coscienza: “Nel complesso, considero Céline un autore sopravvalutato. Dopo il Viaggio al termine della notte, il livello cala, il suo stile diventa sempre più pretenzioso, pacchiano. […] Porre Céline e Proust sullo stesso piano mi è sempre sembrato come una mancanza di buon gusto, la prova comunque che non si sa affatto di che cosa si stia parlando.” O ancora: “In fondo, l'elogio che Céline fa della musica a scapito delle idee che abomina persegue, mi sembra, un doppio obiettivo tattico. In primo luogo, far credere che fosse lui stesso detentore di una musica di ordine superiore, mentre non aveva fatto altro che utilizzare la musica popolare del suo tempo, con le sue limitazioni. E poi, far scordare che di idee non ne aveva, oppure di molto cretine, genere antisemitismo. Ciò non toglie che Céline, buon romanziere senza genio, eccella nel pamphlet, genere che corrisponde perfettamente al suo animo cattivo e vendicativo […]”.


Monsieur, trovo giusto avvertirla che io ho sempre finito per amare gli uomini intuiti o intravisti dietro a quegli autori di cui poi non avrei più potuto fare a meno. Dunque, nel pronunciarmi per difendere la loro memoria dalla menzogna, so di non avere alcun distacco. Né vorrei acquisirlo. Si può combattere con distacco? Forse si può, si deve addirittura, ma allora bisognerebbe cambiar nome alla cosa, e chiamarla guerra. 

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