E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE
Gatsby
credeva nella luce verde, il futuro orgiastico
che
anno per anno indietreggia davanti a noi…
Era
allora
la
mia prima giovinezza:
nata
forse tardi,
certo
vissuta troppo.
Anch'io,
talvolta ebbro
di
quegli anni liberalizzati,
lasciai
avvicendare, come molti,
infatuazioni
ragionevoli,
per
intensità e natura dell'oggetto,
rivelatesi
comunque folli.
Tuttavia,
forse complice
un
conformismo poco narciso,
non
seppi compiacermi
né
fortificarmi, nella disfatta:
solo
espiarne evanescenti colpe,
capolino
ed epilogo
d'ogni
volontà di potenza.
Il
solo sincero afflato metafisico,
forse
non degno di panteismi germanici,
alberga
ancora, con rara dignità,
tra
tali memorie coatte di quella comune età.
Quando,
volendo concedermi
il
pensiero, non già reciproco,
d'una
lei tra le mie elette,
io
attendevo notti limpide
ove
confidare in bui sereni
come
le rese di quegli anni.
Per
cercarvi una stella
da
immaginar lucente
sopra
la casa, nella stanza
in
cui ella, in quel momento,
condividesse
i miei pensieri
pur
volgendoli chissà dove;
e
mossa da simili emozioni,
omologhe
assurde ragioni,
a
quella stella dedicasse
la
vanità dei suoi sguardi
più
amari, indifesi, lontani…
i
nostri sguardi più umani.
E,
seppur in fredda luce
a
distanza di vite intere dalla mia,
trovar
la stessa consolazione
che
teneva vivo, in vita,
ciò
che allora io ero, o credevo.
Mentre
la luce
che
poetai morente
soltanto
per donarle speranza,
sarebbe
rimasta lì, a custodirla:
sia
che lei fosse ignara,
fredda
e, infine, assente,
la
stella lì sarebbe restata,
più
fedele della dolente devozione
d'ogni
mio giuramento interiore.
A
te:
non
io, non già, ch'io speri,
al
pensier ti ricorro
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