24.2.12

BUCK E I SUOI NIPOTI

"La verità è un argomento da ubriachi"


Erano in due,
cinti da stagnanti volute di catrame
che la mia educanda astemia
punse agli occhi, prese alla gola.

Erano lì insieme
e, insieme, soli
tra gli affannati cocktails schioccanti
da quell'ultimo avamposto sociale, il bancone,
e introdotti sciolti astanti
esibirsi in profonda distrazione.

L'uno, sottovuoto asciutto,
sarebbe stato il Bello.
Dentro al cono d'ombra crogiolato
come un Loreto alla catena appollaiato:
cocorito da tabaccheria
assiso su escrementizia fetenzia.
Stuzzicando la sua semiacustica
con tutta la distrazione compiaciuta
che ben altri dedicarono a una sconosciuta.

L'altro, onanista militante,
avrebbe dovuto far da Cervello
o da bolso Super-Io di quel mutilato trio.
Giocava così allo scrittore
anche lì, in pubblico, nessun pudore:
solo commozione di un'ormai epica
prima e sola femminea natica
nel tormentare i caratteri metallici
pestati senza forza d'alcuna rabbia
da quegli imperlati indici,
con la puerile purezza intellettuale
di scimpanzè in salopette
nelle foto d'infanzia al mare.

Un mantra di regionalismo mal curato
sputacchiante birra con barbarie da iniziato
per cui non trovai pietas meno parassitaria
del loro saggio d'avanguardia reazionaria.
Ripetendomi che questo è il guaio con Chinaski,
i suoi tardi biografi oranti,
le sue perdute minorate amanti.
Il solito vecchio guaio, con Buck e i suoi nipoti:
come tutti gli ammantati d'ateismo fuori
coprono dentro un'incoscienza da predicatori.

Un'indigenza di amici a pagamento
di chi, appeso a un filtro, ancora sa attendere il buio
per tornare al proprio bicchiere,
baciato come una Mery per sempre
nella consuetudine morale del ragioniere.

Da generazioni tramandati
con quegli inganni dai diritti riservati:
per cui vivere è già vedere
e per capire, basta bere.

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