9.2.12

MILANO LUNGA MANO

Digli pure che il potere io l'ho scagliato dalle mani”

Provassi a plagiarne le parole
non dovrei temerne querela
ormai meno di ritorsione:
perché egli è ancora,
di rendita vitalizia e illustre compagnia,
nell'indice già corroso
del nostro tomo più nero e polveroso.

Volessi interpretarne dichiarazione
non troverei idea, solo convinzione
dentro la bestia di quell'umana sensazione:
mente per ingannare, su Milano, chi non ne sia
mai stato di sonno accecato
né assordito di foschia,
chi per il gioco non fu mai giovane
né per il lavoro abbastanza anziano.

Così la maschera assunta
sulla faccia messa tra virgolette
d'iconografici, metastorici mustacchi:
compensazione fallica, promessa virilità retorica
mantenuta in verbosa impotenza
da queruli televenditori
come garruli acconciatori.

Così quel Moretti ironicamente minore,
ancora clandestino nella memoria di ciascuno
a ricordare come pietra miliare
che c'è un luogo
in cui non serve esser pronti a morire
nel prepararsi ad ammazzare.
Che c'è uno stato
in cui l'odio può scagliarsi dalle mani
senza passare attraverso il cuore.

E l'unica morte da dover guardare
è in quell'espiante reificazione
d'impiegato, portaborse o facente funzione
di ogni pro e controrivoluzione.


Ai lunghi e fondi anni a piombo

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