8.2.12

BUONA FINE

Siamo io e te, su queste sedie, ad aspettare. Poi comincia la polvere...”

E noi?
Dov'eravamo, noi,
mentre il paese vibrava
di plastico e piombo
in fondo a una strada,
ai margini di una piazza o davanti a una stazione
nella ringhiante disperazione di un ostinato veglione?

Chiusi nelle case nostre o del padrone
restavamo ad aspettare con la pazienza infaticabile
che appartiene al timore, alla rassegnazione
di chi al mattino si alzerà, senza svegliarsi,
per tornare al proprio dovere,
la propria professione o il proprio mestiere:
l'onesto e silenzioso lavoro
di lasciarli sempre in minoranza, loro.
Di chi a sera chioserà,
opponendo all'ansia femminile del sentito dire
quell'aria patriarcale del tutto già visto,
del nulla di nuovo che possa più colpire.

Noi che, modesti come solo gli onesti,
alla nostra prole lasciammo ben altro da fare
che in autunnale adolescenza farsi saltare
o cadere per un nostro colpo vagante al cuore.

Noi avidi di tornare a dormire
il sonno giusto di chi sa
che svegliarsi presto dovrà.

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