ACCADEMIA
E’ una dignità lisa,
ostinatamente decorosa,
a trarmi in vulnerabile parte 
alla brulicante fretta 
da solerte, devota donnetta 
che muove ogni giovanissima vecchia
futura letterata in lista d’attesa.
Menti di tornare a vuotarsi ardenti
per poi riempirsi sempre più rapidamente:
una solennità da negrieri 
percorre quelle lingue sferzanti 
deboli parole al riparo servile
di potenti nozioni. 
Eruttando fino all’ultima
nell’infantile, soave discrezione
di stomaci sfiniti da serate universitarie
come da cocktails spermatici
dinanzi ad agili videocamere.
Invocando poesia in quella umana latrina,
la fronte raffreddata da un vetro senza uscita,
io fingo di contare le pozze mai concentriche 
che queste gocce di febbraio continuano a lasciare.
Come potessi attenderlo dall’orizzonte
di quel polo multifunzionale, 
nella mia rêverie d’estrazione parastatale
rivolta al meglio da venire
e nel solo lusso del rimpianto lasciar passare:
fingendo di saper dimenticare
che la demagogica gratificazione 
di un libretto intero
non vale la noia e l’ansia 
di un pomeriggio solo.
Ha l’aria di non poterlo ignorare,
quella ragazza della mia stessa disparte:
il volto di plastica, bruciato letteralmente
e non in qualche metafora impotente.

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