11.10.11

IL PRANZO DELLA DOMENICA

Tu ricordi quella domenica d'ottobre,
l'inverno tra i capelli soffiava lontano,
come un padre ruvido, d'antico rispetto amato
dalle fiere rocce chiare, dalle fonde cupe onde
al nostro silenzio sussurrava piano.
Tu ricordi, era quasi ieri ma ormai,
forse, nella nostra memoria già mai.
In quel suo tempo sospeso il giorno di festa sembrava insegnare
il sapore della morte che non ci potremo mai raccontare,
e quanto, muto ti chiedevo, di tutte le domeniche, tutti quei pranzi
d'ogni nostra infanzia dolente, ogni adolescenza fremente
a noi manca ora, in noi resta ancora? 
Oggi che libertà è poter vagare 
come padroni di strade vuote, negozi chiusi, motori muti
intuendo quelle famiglie, le loro giovani creature,
chiuse tra severe mura, asciutte finestre, solenni portoni...
raccolte a tacere, là dove non servono parole a rassicurare.
Oggi che libertà è entrare tardi in una pizzeria sempre aperta
come muti, fermi testimoni in quel tragico spettacolo di realtà teatrale
in cui un guappo mancato o represso, sfuggito 
a dove vivere è uccidere o lasciarlo fare,
protetto e nutrito nell'esilio di questa quiete provinciale,
può conservare la propria natura di rabbioso animale
che dimentica il dovere di mordere per dirsi vivo
che afferma il diritto di ringhiare per non dirsi morto,
nel vile istinto che non lesina al beneficio della propria clientela
il diletto di un ambulante spinto in petto, uno straniero insultato in dialetto.
Ed è qui quella vita tanto attesa, quella libertà tanto difesa:
nei nostri occhi liberi di guardare, il cuore libero di patire, le mani libere di tremare.
Oggi che tutta la nostra indignazione 
ha la forza del solo pasto che senza fame
lasciammo muti, da pagare, su quel bancone.

Tu ricordi, non dimenticare.


Alla pizzeria Don Miguel di Teramo
ed a tutti i veri maestri,
quelli che non sanno né vogliono esserlo

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