PIAZZA
IMMONDA
“Ricorda,
figlio mio, la felicità dei giochi non tenerla tutta per te.”
Errando tra magri
banchetti
orfani d'un lavoro da
festeggiare,
frugando tra ingenue
magliette
per l'imminente stagione
buona
nuovi alibi, identità,
travestimenti
sotto cui inarcare i
petti,
scagliare a padri così
distratti e comprensivi
gli ultimi recitati
esclamativi,
utopici anacronismi
inoffensivi.
Vecchie maschere familiari
d'aristocratici
guerriglieri, tirannici proletari
celavano i contorni
iperreali
di un ultimo martire,
ragazzo
Carlo Giuliani.
Carlo, eterno ragazzo in
morte.
Carlo, vivo in noi
eterni ragazzi in vita.
Vivo in noi
morti prima, più di lui.
Carlo, tutto il tuo sangue
da versare,
l'intera tua vita per
riscattare
dall'informe prigione
d'inutilità
l'irripetibile della tua
sola età.
A chiuderti gli occhi
nessuna consolazione:
nel cemento il
partigiano non muore,
laddove
sa che un
fiore mai nascerà.
Resta, di quella piazza,
la scritta a ricordare
una cronaca sempre più
locale.
Carlo, la tua Resistenza
fatta quel giorno,
la tua Resistenza durata
un giorno:
Resistenza, nelle parole
nostalgia di una madre
che nomi non sa trovare,
smarrite le cose da
nominare.
La tua generosità di
rinunciare al mare,
la curiosità di non
fermarti a guardare,
la vanità di chi sa senza
imparare,
di chi cade senza lottare
- in un agone tragico da
fame:
d'identità contro
normalità.
Carlo, dalla riviera io mi
chiedevo quel mattino
fissando l'Unità accanto
al cappuccino,
se qualcosa ti dissero,
tua madre e tuo padre,
prima di consegnarti a
quel mondo da detestare,
prima di lasciare alla
violenza della tua ignoranza
quel mondo che loro non
seppero cambiare.
E se qualcosa chiedano,
oggi, a questo Stato criminale:
forse di rinnegare se
stesso, il proprio ruolo patriarcale,
e come loro farsi da
parte, stare a guardare?
Dando a voi ogni libertà,
anche quella di non saper
che fare:
per assolversi
al cospetto dei propri
cuori
solo facendosi dai vostri
occhi guardare
e dai vostri soli
desideri, condannare.
A
Carlo Giuliani,
ragazzo
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