LA DESOLAZIONE DEL PLUSVALORE  
  
  
“L’etica del lavoro è l’etica degli schiavi.”
  Il lavoro che non riesci a trovare.
  Il lavoro che non hai, il lavoro che non vuoi.
  Il lavoro che avresti voluto e il lavoro che mai saprai fare, né sognare.
  Il lavoro che, inerme, hai visto cambiare, farsi ineffabile sino a svanire.
  Il lavoro che ti chiama dal buio, nella paura della fame.
  Il lavoro che non si lascia più nemmeno implorare.
  Il lavoro che si nasconde 
  per poi saltarti al collo 
  e stringere, sino a soffocare;
  o stancarsi, d’un tratto, e lasciare.
  Lasciarti orfano, solo con le tue inutili piaghe
  senza asilo sindacale né decoro sociale.
  Il lavoro che il mondo ostenta, millanta:
  tronfio del proprio consegnarsi senza trattare,
  affannato operoso 
  verso un maturo marcire.
  Il lavoro, questo nulla angosciato e colpevole
  delle tue clandestine giornate
  in cui ripeterti, colpevole, che la vita è troppo fragile,
  troppo cara per lasciarla ed andare a lavorare. 
  Troppo ancora ha da svelare per rimpianger quelle catene:
  dorate delle devote amministrazioni delegate,
  arrugginite delle impiegatizie reverenze muffite.
  Cloni allineati, ciechi soldati, droni  umani 
  grati di scordare nel tributo
  l’origine della propria stanca specie 
  ceduta per un guadagno di miseria,
  una carità di dignità nel nuovo consorzio sociale:
  rifugio filiale al fondo  nero del suo cuore
  provinciale, di bottega
  globalizzato, multinazionale.
  Il lavoro, che rende liberi.

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