13.8.11

SOLI CAPELLI

Ed ai miei amici che dal carcere mi chiedono cosa si provi ad esser liberi, rispondo: 
'Sono forse liberi, gli uccelli, dai vincoli delle migrazioni?'


Avevo vent'anni:  
molti li hanno avuti,
tutti li han perduti.

Avevo vent'anni:
quella cogente età
d'ogni bellezza, felicità.

Avevo vent'anni:
sognavo con il livore degli occhi spalancati
i lunghi capelli seta di donna
ai cantanti, ai poeti,
agli eroi donati. 

Leccavo la mia matura, fraterna 
piaga d'esclusione
nella promessa romanzata 
d'una libertà assoluta, 
su ali senza debiti di filiazione
né vincoli di migrazione:
ali tese verso una ritrovata fratellanza, 
in una terra comune d'identità
oltre i confini dell'omologazione.

Vedevo crescere i miei capelli,
tornare finalmente vivi 
a quella famiglia d’elezione.
Li guardavo avanzare disarmati,
come nude mani opporsi a carri armati,
incontro all'innato ricatto di dolore
in fondo agli occhi d'un genitore:
che nei miei si vestì di rancore
tanto in fretta da disperdere
in me la rabbia di pretendere, 
l’amore con cui proteggere 
quel mio diritto all’illusione.

Ripetevano
infaticabili e insieme esasperati, 
ripetevano sere interminabili...
che la poetica dell’esclusione, l’edonistica provocazione
erano strade ampie, battute
della mia goffa emulazione
verso quell'io bipolare,
depressivo e insieme maniacale,
cui un giorno sarei riuscito ad arrivare.

Prese per buone come le benzodiazepine,
ingoiai muto e grato
le loro pillole, le loro parole:
come il presagio di cadere
l’incoscienza, il coraggio di camminare.

Ora che i miei sono in pensione
insieme alle attese e alla rassegnazione,
ora che le loro vecchie forze
con le giovani pretese spartiscono la sorte.
Ora che so cosa sussurrare
al mio malumore esistenziale
quando ancora vorrebbe urlare,
chiamando per accusare
vicini, sirene, corsie d’ospedale.
Ora che potrebbero crescere 
senza pesare,
senza nessuno da far morire di crepacuore,
invecchiare di delusione...
quei miei capelli sono volati.

Via, senza un perché.
Via, senza portarmi con sé.
Via, con l’eroe che in me non fu, non è.
Via, in tanti:
non so, non voglio dire quanti.
Per chi è rimasto non ho occhi,
non ho forza di contare.
Tra reduci nessuna umanità:
il proprio disprezzo gli strozza in petto 
ogni altrui pietà.


Solo, ognuno, 
nell’ultimo inverno a ricordare  
quei sogni d’oppio cui ci scaldammo,
ancora vivi, bruciare. 


A mia madre, 
origine limpida, misteriosa, 
d'ogni mia prima cosa


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