14.6.11

IN NOMINE

Ma lei non sa cos'è un uomo medio! E' un mostro...”


Crudelmente tardiva, tronfia d'attesa
l'estate onnipotente ai devoti si palesa
Miracolo d'artificio naturale il Moderno seppe operare
nel rituale sacrificio balneare.

Tra radi curvi corpi, eretico pallore forse immune
alla timorata indegnità comune.
In scioltezza e circospezione studiata,
a rive non già evangelizzate,
un vecchio studente, una giovane impiegata
offrono le loro vergogne spogliate.

Lasciando sfilare nel rifiuto fermo ma cordiale
l'ennesimo accendino o bracciale,
il petto stretto, dolente pulsare
d'un retorico, ormai, Che fare?


Il mondo, la sua iniquità, nutre di una capillare colpevolizzazione la propria rigogliosa impunità.
La colpa che si è riusciti ormai a connaturare nell'uomo battezzato comune - sapiente maschera demagogica consegnata al semianalfabeta medio, al frutto molle della coltura di addestrato consenso e democratica predicazione che fu, ed è, la coatta scolarizzazione.

L'uomo medio, il grande illuso del libero pensiero, lasciato progressivamente libero di non contare né capire niente, o quasi – un quasi niente affatto casuale. Lasciato criminosamente marcire in un senso di colpa altamente funzionale all'occultamento finale della vera fonte del male.
Le sue misere forze profuse non più che in un tautologico, vagamente indirizzato 'Non mi dicono tutto': lamento infantile, inerme, cui mai si aggiunge il perché mai dovrebbero, quei vaghi loro; alibi forse cosciente del proprio non capire quasi niente.
Il suo disagio informe di chi attende, operoso e paziente, i resti della mensa padronale senza poter dimenticare gli occhi accusatori, digiuni, di chi in cucina confinato, sopravvive, "diversamente libero", di qualche boccone rubato.

Non che in un uomo medio la colpa sia del tutto assente ma, al di là della sua irrilevante entità individuale, ha una funzione semmai conservativa e non costitutiva del mondo come lo conosciamo. Ciò proprio in virtù della sua condizione di uomo medio: insieme di svantaggiato status sociale e di scarsa inclinazione al male che lo escludono a priori da qualsiasi ruolo decisionale nell'organizzazione sociale, sul destino del reale.
Facendo leva sulla sua mediocre inclinazione al male – per inabilità nel compierlo come per argine morale – chi invece vi abbia una propensione, naturale ed addestrata, e dunque concorra effettivamente a determinare la sorte generale, si premura di addossargliene la maggiore responsabilità - maggiore, non totale: ancora, niente affatto casuale. 
Con ciò che ne consegue:
Un'autocolpevolizzazione irreversibilmente nevrotizzante.
Saltuari, liberatori tentativi autoassolutori mediante atti di simbolica, vergognosamente offensiva solidarietà, rivolti alle assortite categorie di attuali schiavi in senso moderno e premoderno: dagli sms di donazioni ai picchetti dei ricercatori.
Un'illusione di soggettività - fuga onirica dalla propria schiacciante passività - derivante dall'equazione-mistificazione: senso di colpa = ruolo di responsabilità.
Una sempre più scomposta e dunque innocua rabbia verso un altro che si intuisce, esso sì, realmente determinante, ma che si è reso irrimediabilmente irriconoscibile, sfuggente.
    Concorre a consolidare tale rappresentazione d'insieme la celebrazione, nel dolo o nell'idiozia, della morte dell'ideologia. Quando invece alla base di questo ordine mondiale, reale, c'è un'ideologia ben più sofisticata ed efficiente di tutte quelle avvicendatesi storicamente. Tanto efficace quanto diversificata, essa si modella sulle inclinazioni personali onde ottenere una più profonda introiezione: forgia da una parte i naturalmente inclini ad un'adesione totalmente devota al Verbo del consumo – di cose, persone, di sé, dell'umana compassione – e lavora dall'altra su chi strutturalmente non è perfettamente aderente ad un fanatismo incondizionato, e dunque necessita, per dare il proprio contributo, di essere roso e insieme spronato da un classico, religioso senso del peccato, ora sapientemente laicizzato.

    La differenza evidente rispetto ai dogmi classici - metafisici delle religioni, o utopici delle rivoluzioni - sta nel precetto mai esplicitamente imposto, ma sempre suadentemente proposto. A conferma di un potere di persuasione che non necessita di alcuna prescrizione. Ma quest'ultima è una lezione niente affatto nuova, per chi volesse prestare attenzione...



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