15.6.11

DUE MISERIE

Ogni animale è triste dopo il coito”


Adolescente: sete di desiderio, fame di assoluto.
Due anni senza toccarti.
Un sacrificio necessario, ripetevi,
a qualcosa che doveva esserci,
che ci sarebbe stato.
A qualcosa che non sapevi.

Dio non c'era, o non si fece vedere.
Lei non era, o non ne volle sapere.

Venisti in un pomeriggio plumbeo, muto
di giugno:
la maturità incombente, come un congedo troppo formale
di chi abbia, o finga, premura di andare.
Venisti in un pugno chiuso come di rivoluzione,
come di rifiuto
rivolto a ciò che, credevi, ti avesse tradito.

Solo a ciò che eri stato, forse.
Ciò che aveva reso
ineluttabile, fatale
un desiderio così addomesticato,
un assoluto così limitato.


Da adolescente sentii in un convegno per giovani cristiani che la masturbazione è da rifiutare non in quanto peccato - anche un potere ormai anacronistico come quello aveva dovuto accettare che un approccio rozzamente precettistico e sanzionatorio non avrebbe più pagato – ma da rifiutare poiché, cito alla lettera, “non mantiene ciò che promette”. Questo mi riporta ad una summa più estesamente esistenziale, da Le conseguenze dell'amore: “La sfortuna non esiste: è un'invenzione dei falliti, e dei poveri”. Una premessa direi essenziale alla tesi iniziale: il concetto di promessa, fatalmente disattesa, ha sempre un elemento ingenuamente soggettivo: che scagiona, almeno in parte, qualsiasi crudele casualità o disegno del destino.

Quanto alla forzata evoluzione della propaganda cristiana - ancora efficace tra le folte masse di inabili al giudizio ed alla più semplice opinione personale - credo che per i residui pensanti, i termini del problema siano altri. La masturbazione, se pure si decidesse consapevolmente di rinunciarvi - e sarebbe impresa eroica di ribellione alla propria implacabile, bestiale destinazione - è un atto intimamente rivelatore dell'umana dannazione.

Dunque potrebbe essere questa la spinta a rinunciarvi: la sua insostenibile franchezza, non certo una presunta ingannevolezza. Essa svela infatti la strutturale solitudine dell'uomo, dopo l'atto appagato per un tempo così breve, da avvertire già nella testa un nuovo assillante desiderio prima ancora che il suo corpo abbia le forze per accoglierlo e tradurlo in un guizzo inguinale, in un'erezione.
Presagio questo, in giovinezza, della condanna senile.

Quello che chiamiamo piacere sessuale è, indubbiamente, un richiamo irrinunciabile.
Dunque come conciliare la natura coattiva, la necessità di fare qualcosa, con il piacere che si ritiene arrechi? Forse sarebbe più opportuno parlare di sollievo, piuttosto che di piacere.
Può dirsi piacere qualcosa di così evanescente in presenza ed insieme onnipresente in assenza? Qualcosa che, anche nel momentaneo appagamento, è braccato da un disagio così variamente articolato? Senso di colpa, solitudine, percezione di sé in quanto uomo: nudità, tutte, intollerabili.

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