22.6.11

NONNO'

Nonnò, una mattina ancora gli occhi chiusi.
Una mattina ancora caffè bruciato, malocchio, nazionali ciancicate, segni di croce senzadio.
Una mattina ancora senza vederti più arrivare: 
uscita di scuola, quaranta minuti di lacrime ingoiate, dannate a mezza voce
che poi all'ultimo stavolta non sbucherai in fondo al viale necrotico residenziale
Che poi all'ultimo non sarai più solo tu, per me, il mondo intero:
il tuo scialle, le tue ciavatte, il tuo pappone dei gatti, i tuoi occhi.
I tuoi occhi gialli, i tuoi occhi vuoti, i tuoi occhi fissi, i tuoi occhi muti
- ipnosi di assistenti sociali, fermate soppresse, case popolari

Nonnò, una mattina ancora di groppi in gola
davanti a bancarelle in fiore, busti del Duce, cani senza padrone
davanti a quello che, t'hanno detto, dovevi rimettere a Dio.
Nonnò, il loro Dio è morto.
Tre di notte, tre d'agosto: corsa finita faccia al muro come bambini in punizione
lamiere, corpi lapidati come il figlio di quel Dio
- Tiburtina, ambulanza, è un casino!
Le gabbie tutte sfondate, le donne e le bambine tutte volate,
tutte di nessuno adesso.
I tedeschi avvelenati dalla minestra:
trenta teschi di cera sciolta al sole, alle mosche, al silenzio.



A mia nonna, che mi ha insegnato a guardare
Ad Allen Ginsberg, che mi ha insegnato a ricordare

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