28.5.11

FUORI

"Dicevi che il litio ti aveva cambiato.  
I tuoi pensieri erano puliti, adesso, ma sbiaditi.
Come vecchie lenzuola stese al sole ad asciugare"


Se i matti soffrano non so dire.
Non ho capito, qui dentro, molto più di fuori.
Entrambi hanno recitato, per i miei occhi.
Quelle corsie, quei cortili
teatri del loro riso senza luogo, del loro pianto senza tempo.
Queste strade, queste case
dove altri ruoli vestono medesime finzioni.

Ma allora non m'importava, 
io chiedevo solo quiete 
a quella piaga che nella fronte mi pulsava.
Invocavo la pace delle preghiere infantili
in quel mio confino, nella quarantena
cui credevo d'aver condannato 
tutti loro, rimasti fuori.

Un limbo coatto che durò un attimo:
ad attendermi alla dimissione
il purgatorio della terapia di mantenimento.
Riconsegnato al mondo conservatosi sempre uguale:
eternamente giovane, infaticabile nella sua maledizione;
accanito quasi distratto, d'abitudine, sulla mia infezione.
Mondo d'eterni sguardi su cui misurare 
goccia a goccia, grammo a grammo
la propria pazzia, o dannazione.

E tu, i tuoi occhi impotenti in cui lasciasti sfilare la lettiga,
nel dolore crudo, traditore di chi vede andare 
un figlio che è militare.
Tu che mi hai guardato senza più occhi, 
tu che mi hai ritrovato nell'infantile attesa
con cui si sopravvive ad una guerra finita.

'Hai avuto paura?'
Questo ripetevi, questo solo sapevi dire.
Io parole non seppi, non volli trovare:
mi lasciai trascinare, sotto braccio, nel bar più vicino 
per un caffelatte caldo, tardivo.

Oggi a quelle tue parole sbiadite, che tanto ho fatto per non sentire
trovo risposta senza coraggio.
Se l'avessi, ti vorrei dire:
'Ho paura, qui:
fuori non si può uscire.'


All'immensa solitudine dei padri

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