23.3.07

Stupenda e misera città.

"Stupenda e misera città, che m'hai insegnato ciò che allegri e feroci gli uomini imparano bambini, le piccole cose in cui la grandezza della vita in pace si scopre."

Il pianto della scavatrice, Pier Paolo Pasolini


Fa bene un libro come questo "Vita precaria e amore eterno".
Specie di questi tempi, in cui gente come Moccia ed i suoi Sette metri sopra al cielo o Corona ed i suoi balli mascherati di troie e guardoni di regime, ci ricordano come la rovina dell'Italia siano proprio gli italiani. Noi italiani. "La borghesia più ignorante d'Europa" direbbe Orson Welles ne "La ricotta". Ex borghesia, ormai. Ma, in quanto ad ignoranza, attuale più che mai.
Personalmente ho trovato questo romanzo del giovane ('tacci sua, solo io non combino un ca...) Marco Desiati tanto sgradevole quanto necessario. Necessario, beninteso, per chi ancora veda nell'arte una funzione civile non puramente velleitaria. Ho citato Pasolini, in apertura, per conciliare i saporiti sbadigli montelliani e, più in generale, di chi mi accusa di voler vedere in ogni dove riferimenti al poeta di Casarsa.
In effetti la Roma qui evocata sembra tratteggiata, per livida impietosità, più dallo Scola ferocemente grottesco di "Brutti sporchi e cattivi" che dalla pietas pasoliniana de "Le ceneri di Gramsci". Ma, sarà la matrice cattocomunista da cui, volente o nolente, ancora non riesco ad emanciparmi, io in questo Martino trovo ancora un residuo d'umanità, in quel registrare, rabbiosamente ma dolorosamente, lo sfacelo che ha di dentro e d'intorno a sè.
L'autore non perde, poi, occasione per bastonare, attraverso il suo anti-eroe, quelli,
i comunisti. Gli idealisti morti di fame. Il padre in primis, che lo trascinava bambino, insieme ad altri sparuti disperati, a protestare contro la sudditanza Nato dell'Italietta a sovranità limitata. Più che ideologicamente, li detesta alla luce della loro clamorosa disfatta storica, e di quell'estetica della sconfitta in cui illusoriamente continuano a crogiolarsi. Ma, e qui già odo rimbombare i vaffa, io di materialisti storici come questo Desiati, vi sfido a trovarne. Altro che la polverosa retorica da sezione provinciale di partito d'un Parolaio Rosso, o le scene di lotta di classe al marzapane dei Violatori di zone rosse alla (che iddio vi maledica!) Casarini o Caruso di turno. Qua c'è, a mio vedere per carità, una bella equazione: precarietà economica = precarietà di vita (in ogni suo aspetto). Lascio a voi giudicare, ma a me ricorda terribilmente una formuletta poi tanto di moda su struttura e sovrastruttura elaborata un paio di secoli fa da un signore barbuto (Monte', non Babbo Natale! Quello non esiste, come te lo devo dì?).
Un romanzo a tesi, e sbattuta in faccia fin dal titolo. "In letteratura non c'è niente di peggio che
un'idea!" sentenziava quel genio criminale di Céline. Ed in effetti è spesso un limite,
ma di questo romanzo credo sia la forza.
Insieme a molto altro. Ma mai vi priverei del piacere di scoprirlo da soli...

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