VITE DI UN AMORE
Dunque
l'amore durerebbe tre anni, Monsieur Beigbeder? Forse per lei, ma per altri
molto meno: ecco perché questi possono decidere di farlo durare quanto credono
e necessitano (… entrambi gli amanti, si spera!). Tuttavia, se anche l'amore
durasse tre anni, l'attrazione irresistibile, quella che non può disgiungersi
dal terrore ossessivo della perdita, dell'abbandono, si limiterebbe a tre mesi:
quando le fantasie di altri corpi iniziano a travalicare i limiti della
possibilità per farsi necessità, puntualmente intrisa di un inutile ed
impotente senso di colpa. Il progressivo esaurimento del desiderio verso
l'altro, stabile ed unico interlocutore erotico, avrà poi a che fare piuttosto
con qualcosa che ricorda l'acuta indigestione per un cibo di cui ci si sia
scoperti ghiotti, piuttosto che la cronica nausea per un liquore che ci abbia
casualmente inebriato, per poi ubriacarcene ferocemente. Tuttavia, benché
avvertita in noi quest'elementare verità, preferiamo continuare a rifugiarci
nella consuetudine della monogamia: mortificando così i nostri corpi ma pure –
forse neanche sospettandolo – le nostre anime; condannando quella rara
affettività che ci è concessa, ad un'esistenza assai più breve ed angusta di
quella che avrebbe potuto vivere; ed impedendole, così, non certo di lenire la
nostra solitudine esistenziale, ma perlomeno di consolare quella paura vitale.
In
fondo c'è molta meno ingiustizia e violenza – il che svuota d'ogni residua
rilevanza il concetto labile di naturalezza – nell'affettività omosessuale: lì
possono incontrarsi, infatti, creature mosse da bisogni assai meno divergenti
di quelli che contrappongo un uomo ed una donna reciprocamente attratti.
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