BRACCIA BUCATE
"Il mio modo vigliacco di restare sperando che ci sia quello che non c'è"
Ho speso i miei vent'anni
a bucarmi le
braccia
senza mai capire
quel senso di
dovere
- se non
nell'illusione
che esistesse
ancora un dolore
rimesso al solo mio
volere.
Fuor di me, come
sangue
li ho lasciati
scivolare:
senza mai trovarmi
dinanzi il Ginsberg
dove specchiare
l'epilettico
individualismo
della mia pelle
incenerita
contro la nebbia di tabacco
narcotico
del Capitalismo.
Ho attraversato la
giovinezza,
tutta quella
concessami nella vita,
coprendo di me ogni
cosa
rimasta nuda nell'altrui
scherno,
giudizio, censura
più impietosa.
Per investire i
miei trent'anni
nel ritenere ciò
che ho inteso:
la sola intima,
insopprimibile protesta
è non lasciar
svilire
ogni propria
libertà ideale
sino alla compita
obbedienza
di un concetto
sempre più vago
come la sua
impotenza.
Sino ad una tregua
di gustose
finché fugaci e
nervose
boccate catramose
quanto i luoghi
d'aria
nelle nostre ore
mai inoperose.
Da lasciar quasi
anelare
sorti di diversa
elemosina
sulle medesime
strade:
ad aprirsi altri
buchi
oltre i quali
incontrare
una morte non più
fatale
di questa
prigioniera
sopravvivenza
sociale.
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