22.5.12

BRACCIA BUCATE

"Il mio modo vigliacco di restare sperando che ci sia quello che non c'è"


Ho speso i miei vent'anni
a bucarmi le braccia
senza mai capire
quel senso di dovere
- se non nell'illusione
che esistesse ancora un dolore
rimesso al solo mio volere.

Fuor di me, come sangue
li ho lasciati scivolare:
senza mai trovarmi
dinanzi il Ginsberg dove specchiare
l'epilettico individualismo
della mia pelle incenerita
contro la nebbia di tabacco narcotico
del Capitalismo.

Ho attraversato la giovinezza,
tutta quella concessami nella vita,
coprendo di me ogni cosa
rimasta nuda nell'altrui scherno,
giudizio, censura più impietosa.

Per investire i miei trent'anni
nel ritenere ciò che ho inteso:
la sola intima, insopprimibile protesta
è non lasciar svilire
ogni propria libertà ideale
sino alla compita obbedienza
di un concetto sempre più vago
come la sua impotenza.

Sino ad una tregua di gustose
finché fugaci e nervose
boccate catramose
quanto i luoghi d'aria
nelle nostre ore mai inoperose.

Da lasciar quasi anelare
sorti di diversa elemosina
sulle medesime strade:
ad aprirsi altri buchi
oltre i quali incontrare
una morte non più fatale
di questa prigioniera
sopravvivenza sociale.


Nessun commento: