18.4.12

QUANDO SARA' TARDI ORMAI


Avrei forse potuto tralasciare
l'umore retrospettivo,
ignorarne l'agrezza confessionale:
ma non vidi mai anima
nel narrare che non muovesse
l'onestà del richiamo personale.

Voglio dunque anch'io
- incurante della fatale sproporzione
tra talento, resa, ed intenzione -
concedermi un lucida illusione
di poter ancora tornare
a quel povero, breve viale
vuoto come domenica ginnasiale.
Sino ad una sala giochi seminterrata
a pochi, incolmabili passi dal grigio mare
estraneo come in ogni autunno
all'ingrata massa migrante d'estate.

Dov'era l'estremo lamento
d'un jukeboxe in pensionamento
a restituire in un'ossessione
le ingenue note amare
di quel Marco così popolare,
prima che la tediata crudeltà
di quei nessuno che mi negavano,
con i miei simili, il solo sfiorare
l'ignoto d'un brivido adolescenziale,
decisero portasse male, bandendone il cantilenare.

Fieramente inconsci
- come in ogni loro pre-potenza -
vollero in realtà censurare
quanto egli seppe raccontare:
non borghesi cloni
di esistenzialismi elettrificati
d'oltreoceano o canale,
ma poveri sguardi d'occhi
che hanno il solo orizzonte
nell'ultimo complesso popolare.

Perché per quanto non vogliano
né possano accettarlo,
anche i cafoni sanno soffrire:
ma non credendo di poterlo fare,
educati a doversene vergognare,
piangono senza darlo a vedere.

In profondità che non sai di avere in te.

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