4.4.12

DEDICA A MIA MADRE

”E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio”




Pensarti altro da ciò che sei:
non so, o solo non voglio
capire, non ancora,
verso chi di noi due
sia questo crimine peggiore.

Ricordarti in una raccolta
di mie parole, violente e disarmate
come i ricordi in cui siamo avvinti.
Parole per cui non ho vocazione
di credere quanto invocano, vitale,
la luce - se non dal buio della tua, della mia.
Doverti un atto d'amore
mosso dal petto ormai corrotto
nel benigno cancro, lo specchio dell'io d'autore.


Dirmi, nella superstite determinazione
di ogni disillusione,
che di assenza, sfiducia, distrazione,
quando non disamore,
deve nutrirsi il solo fare
ancora degno di dirsi tale.
Che è dolore a generare arte,
l'arte che mai saremo degni di nominare,
l'arte che sempre rinasce, per accusare
- tutti, senza distinzione:
incurante di poter cambiare
ciò che, solo, chiede di non scordare.

Benedire quanto in te immutabile,
innocente nel barbarico ricatto
d'ogni mio giovanile, furioso divenire:
l'unico tuo insegnamento
è quello inconsapevole, dunque vero,
quanto nell'intenzione mai saprebbe l'umano.
Il tuo solo lascito,
quello che non vuoi capire
perché, sai, non potresti amare:
quanto basta, per non morire,
all'ineluttabile essere del mio istintivo fare.

Così credo di saperti perdonare,
soltanto così doverti amare:
nella parola con la quale
non potevi altrimenti rispondere
alla mia voce pudicamente timorosa
- ostinazione puerile
di stagioni in cui, come prigioniero
del mio e tuo soffrire,
ho capito, è possibile gioire -

che nel profano rito famigliare
d'un desolato silenzio postprandiale,

recitava quell'unica, universale Supplica a mia madre:
'Quant'era bravo, questo qui...
Un culto della madre, si sente, da omosessuale.'

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