6.1.12

MORIRSI

“Tu non sei più vivo, io non sono mai stato capace di amare”
 

Non il tradimento della felicità
ma il peccato della libertà
è quanto d’un uomo
- questo condannato a morte dalla vita,
liberto fedele del suo dolore -
resta più fondo, imperdonabile
agli occhi dei propri simili.
 
Felicità, dono agli obbedienti
nell’illusione concessa a sé,
nel livore riservato al prossimo.
Libertà, conquista dei ribelli
nella punizione demandata
agli inconsolabili orfani d’obbedienza sociale.

Libertà di guardare
che si paga, da legge naturale,
al prezzo di quanto si vede, intollerabile fino a morire.
Libertà di lasciare la propria vita
prima di lasciarsela togliere
affinché viva, libera, oltre ogni comprensione e perdono.
 
Perché in chi va, cosa non scordare?
Non l'amore che mai più darà:
lo pretende fino ad estorcerlo
per non saper poi che farsene, l'uomo,
il più infedele, insoddisfatto animale.
Ma quella conquista di estraneità
al solo incedere penoso, smarrito
della fraterna quotidianità.

E mai saprà perdonare o capire
chi non può lasciarsi che morire,
quello scandaloso lascito di sfida
lanciato alle proprie spalle da un suicida.


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