15.12.11

IL MIO PICCOLO GETSEMANI
 

"Non importa... Sulla mia terra, semplicemente ciò che sono mi aiuterà a vivere."


Io cammino ancora lungo quel viale,
in quel lungo silenzio dove rivedere mia madre
fuggita in provincia dalla condanna capitale,
esiliata a dieci chilometri d'asfalto per lavorare.
Mia madre che al mattino non spegneva il motore
nel consegnarmi al custode della penombra d'un androne,
come a sera nel mio letto non stendeva le gambe 

nell'affidarmi al sonno, che mi accompagnasse al fondo della notte.
Io, nel mio cappotto stretto come un racconto russo,
la cartella tormentata da dita esangui
d'impiego statale che mai avrei ereditato,
la colazione ad attendermi nel lino tenero e immacolato:
i miei soli legami famigliari,
primi ed ultimi documenti d'espatrio
dal nulla incurante che mi avrebbe rapito,
l'anonimato orfano in cui un giorno sarò svanito.
Io, la fronte fredda su quella vetrata
di forme e colori senza gioia né scampo
alla mia coscienza ormai nata
dove cercare d'intuire, tra chiassosi rami d'un tratto muti
come divi immortali senza ritorno decaduti,
ciò che nelle feritoie dei giorni, negli angoli degli anni, 

paziente mi avrebbe atteso.
Fu nell'agio da rampollo di casata o erede di dinastia
di quei minuti soltanto miei, quei minuti lenti, pazienti e muti,
che morirono i semi di questo decadentismo maturo.
La timida consapevolezza,
mia prima ed ultima ispirazione,
della sola vera vocazione...
quella tristezza.



A Pier Vittorio Tondelli,
1955 – 1991

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