30.11.11

SOPRAVVIVERCI

Giorni di rigoglioso egoismo
in cui chiedo di non invecchiare
per vanità, falso pudore
a nutrire questo mio solo timore
di trascinarmi troppo lontano, oltre,
fin dove tu mi debba dar da mangiare.

Giorni di rigoroso eroismo
in cui cerco di non morire,
non rinunciare ancora a chiedermi
cosa ci sia in me da dover salvare,
cosa io sia che senza pagarne la vergogna
tu possa tenere in te, ricordare.

E' l'ambizione dei dilettanti,
quei colpevoli che confessano
la spaurita vanità di vedersi pubblicare,
che leggono Saba sperando già di trovarvi
quella fraternità senza consolazione,
quell'assenza d'odio a protezione
da ogni D'Annunzio della cultura statale.

Perché io spero di lasciarmi morire
solo come bambino poter dormire
in attesa sicura di mia madre,
minuscola vita operosa dalla finestra accesa
di uno degli infiniti condomini alveare;
così vecchio in campi bianchi e silenziosi
di edizioni eleganti e spero non costose,
lasciate intonse nella loro dignità
sugli scaffali più alti e riparati
di qualche malinconica libreria provinciale.

Dove un giorno tu possa passare
forse turista ancora curiosa di pomeriggi festivi
e con la dolcezza più struggente che appartiene al caso
scoprirti a cercare scaffale dopo scaffale,
per poi trovarmi senza più pena, solo innocuo sollievo
e lasciar scorrere le mie parole ormai silenziose
tra gli anni e i ricordi e le dita
che per te vorrei stanche d'opere non di lavoro,
d'inquieta intenzione più forte d'ogni solerte rassegnazione,
dita commosse senza invocare alcuna patetica, vecchia illusione.

Prima di restituirmi a stento, puerile alibi di infinita cura,
lasciarmi al riposo di quella brossura
che forse io stesso non avrò avuto il tempo di dedicarti;
prima di tornare alla tua vita di domani,
ricordando per una sera di non avermi dimenticato.



A Cris,
nelle sue domeniche in cui già mi manca

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