10.9.11

I NOSTRI CAZZI

Ho visto Nina volare tra le corde dell'altalena...”

Oggi, quando le guardo, ho un sussulto all'inguine, non più al petto:
è nel pene, oggi, che pulsa quel sangue tolto al mio cuore.
Ma un tempo c'era stato, anche a me fu dato un tempo per amare.
Amai una bambina, ciò che anche io ero. Avevamo tredici anni.
Ero un bambino e come un bambino la amai: so che la amai,
come ricordo Pietro dalle sue lacrime purificato,
così non dimentico la notte in cui piansi per lei.
Non avevo mai toccato un corpo femminile, prima, 
né toccai il suo, mai.
Aveva un nome da favola che non spaventava,
un nome di bambola dai capelli di lana: 
Carolina, sin dalle prime parole battezzatasi Nina.
Nina che io ancora avrei trattenuto nei pomeriggi sull'altalena,
lei che ormai attendeva le sere, l'ebrezza pungente di quel pene,
l'arte preziosa delle prime, forse ultime seghe donate con devozione.
Nina, non credo fosse l'amore ciò che cercavi allora,
ma solo bagnarti, prima di ogni altra, in quella luce riflessa:
nella gratificazione di sentir pulsare tra le tue dita il potere,
guidare per qualche avaro istante il bastone
di quei valorosi senza cuore che avevano ucciso, schernendolo, ogni amore.
Nina, tu per loro non avevi un volto da ricordare né occhi da cercare:
solo un petto - pere le chiamavano, narrandole impertinenti, scure, piene
solo un grembo - fessa dicevano la ferita aperta, mai guarita, dove in te frugavano.
Nina, io che solo ti guardavo alla luce di quei giorni,
io che avrei voluto perdermi nel tuo blu vuoto, freddo, profondo,
io solo, per te, erezioni di emozione, brividi di commozione.
Saremmo stati bene noi, immuni al desiderio e all'invidia altrui, 
immaginavo senza affanno, libero dalla speranza e da ogni suo inganno.
Tu avresti lasciato senza rimpianto ogni tuo cazzo al passato,
io avrei smesso di sentirmi te, inutile e imbarazzante dopo averlo svuotato.
Nina, ti sei accorta di avere un corpo, lì ti sei trovata una mattina,
e prima ancora di chiederti che farne, sono venuti a prendertelo, gettandolo presto via.
Quel tuo corpo, senza poter capire in cosa ti apparteneva, 
tolto per sempre insieme a quanto lo copriva, in una sera.
Ed io, solo ed inutile nominare allora 
quella parola che forse oggi, sciocca, tu ignori ancora.

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