30.7.11

MIO FRATELLO È FIGLIO UNICO

E il vapore acqueo delle nostre illusioni con le costole fragili come certi balconi meridionali”


Mio fratello è figlio unico, Rino Gaetano l'ha scritta a Roma, da troppo poco. Lì, dal fondo delle campagne, dal nulla puro, mai tolto al tempo del sud abbandonato, gettato nel piazzale e i cavalcavia della stazione Tiburtina, le dieci di una domenica sera. 
E partiva l'emigrante, all'alba, un poco ancora scaldato da un bus che arrancava, sofferente e dignitoso come quei volti muti, di solchi antichi; poi un treno fragile, lento come un giocattolo da soldati. Lì, negli occhi e in cuore a non poter lasciare, l'ultima notte a casa dell'amore suo Mariuccia, lei che facevano l'amore, l'ultimo, e non riusciva ad ingoiare le lacrime, non riusciva a dire niente, che anche al sud c'erano donne, ancora, che a volte non avevano il coraggio di dire niente. 
E forse si erano addormentati, in quella miseria feroce di tempo concesso, o forse rimasti svegli, ognuno con la propria solitudine, la solitudine di quando si crede, tremanti, che l'altro dorma. Poi, restava ancora un niente, ma troppo per restare a guardarlo arrivare così impotenti, lì stesi nel buio. Così lui è andato verso la porta e lei dietro, forse con la dignità antica di cui solo le donne al sud erano ancora capaci; e l'ultimo abbraccio, fondo, vero, come chi si tiene quando non si può più ingannare: sarà davvero l'ultimo, e vorrebbe che finisse lì, insieme, in quella stretta da non dover più lasciare - chissà, forse a qualcuno che davvero si è saputo amare è stata donata quest'unica gioia di morire. Lì, con l'uscio della porta ancora da solcare, con quella notte dietro, sole stelle senza luna, e la collina, immortale corpo steso d'orizzonte.
E poi ognuno, solo, già pensava a domani: non a tutto il resto della vita, che in quella sera era solo una condanna, una strada lunga e vuota e dolorosa, no, solo a domani, solo a dove trovare la forza per continuare, soffocare o lasciar scivolare sul dolore quella quaresima di minuti, di ore.
Ed arrivò, domani, insieme a Roma e la stazione Tiburtina alle dieci di sera e i gatti e la monnezza e pizze fredde e tabacchini e non si spiega, nun se pò spiegà Roma a Tiburtina de sera, nun se po' spiegà Roma, nun se spiega. Roma se vive. O se more.


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