13.7.11

SE LE MACCHINE INVESTISSERO GLI AVVOCATI CHE INVESTONO IN MACCHINE

In questo, c'è stato un poco di imprudenza da parte tua...”


Per taluni, in questo paese ci sarebbero troppe macchine: nascono nelle fabbriche che talaltri vorrebbero delocalizzare. Le macchine, insieme con le mura domestiche estremo, angusto teatro di parola dell'autismo sociale, noto come individualismo dalla sociologia trentina anteriore ai pettirossi da combattimento, si inerpicano lungo mulattiere note come segmenti di mercato dalle pubblicazioni tanto rassicuranti e care a chi auto e donne le conosce, tendenzialmente, dal di fuori. Ma, prevedibili quanto i loro padroni, le macchine recitano sempre gli stessi ruoli: quelle vorrei ma non posso, quelle da timidi pezzenti, quelle non ci sono cazzi: di esclamativo lusso! La misericordia, poi, del Mercato, ultimo credo non rivelato, fa sì che da un finestrino a manovella quasi a nessuno sia mai negato fantasticare un cruscotto, come un decollete, vellutato. 
Per talaltri, in questo paese ci sarebbero troppi avvocati: nascono nelle università che altri, o i medesimi, talaltri vorrebbero privatizzare. Si tripartiscono anch'essi coerenti, puntuali, come quelle trovatelle dei concessionari: ereditieri indolenti, zelanti aspiranti, anche noti come innati praticanti, e smarriti, incauti passanti. I primi, come non stimarli, si adoperano con invidiabile talento naturale a protrarre il più che sia possibile la vestizione della toga parentale, i cui prestigiosi benefici sociali già da tempo godono elegantemente con quel gusto unico, sfuggente che dà il non dover sudare ma al massimo dissipare, che è peculiare del privilegio natale. Sui secondi, lascio alle personali inclinazioni, luterane o tridentine, il giudizio circa il sacro fuoco stakanovistico; personalmente, trovo il ruolo più aderente di un Velatissimo sul gentil sesso, che immolerebbe così il proprio corpo in forma più compiuta, nonché proficua. I terzi, infine, banalmente atterriti in egual misura dalla prospettiva di utilizzare, un giorno, ciò che stanno, diciamo, a studiare; di fare altro, con la beffarda iperqualifica stoicamente conseguita; fare niente, con ciclico avvicendarsi di sollievo ad angoscia a nevrotico senso di colpa. Personalmente, fu un approdo miracolosamente scampato, l'avvocatura. Mi bastarono i primi, imprudenti passi di avvicinamento dai buoni consigli instillati insieme con i già anemici idealismi all'indomani della maturità ridicolizzati, sino alle pacche di paterno realismo a scrollare le ultime stremate illusioni congedatesi come conoscenti subito dopo l'alloro da dottore. Ma amo ricordare i casuali compagni solidali lungo quel cammino di volontaria penitenza; gli approdati al patrocinio legale, dopo il lungo peregrinare, amo credere con la stessa indolenza della lontana immatricolazione. Delle tre specie, appartenni all'ultima, e se pagai come loro il fio d'una intima non appartenenza dalla prima mattina del saggio di profitto in un cinema, ci spartimmo pure l'unico possibile punto di osservazione; sospesi a tempo indeterminato, come timidi esistenziali, in quel limbo che conosce, dell'atto, solo la pura intenzione: fermandosi un istante prima, quale che sia la causa interiore, per incapacità di adesione a quella discutibile ma perentoria realtà, generata dall'intento fattosi azione. Ed infine, tra quelli che non ebbi accanto ma ben saldi in cuore e negli occhi troppo belli, quelli dell'immaginazione, i Ginsberg, i Lenin, finanche i Palazzo; tra quelli, ben più fecondi e morali d'una Grundnorm kelseniana, ricordo con fraternità particolare il bibliotecario della sala studio dove flagellai di codici non aggiornati i miei pomeriggi più raggelanti tra quelli assolati: Paolo, Orso per noi pavidi ma creativi. Ad occhio, sempre rispettosamente sfuggente, un buon 120 chili d'uomo, come pure un bel 100 e passa nel cassetto, una figlia cresciuta chissà dove, il litio che ormai non fa più quell'effetto, occhi persi come lacrime, come quando fuori piove.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"un attimo che stiamo brieffando", ecco. a saperlo che stavamo brieffando manco mi sedevo al tavolo.
ma tant'è.

e poi è da tempo che vorrei scrivere un post su sto cazzo di faccione di vincent cassel e sulla sua lancia ipsilon (prezzo base 12400 euro):
"il lusso è un diritto".
che, pur volendo lasciar stare l'etimologia, mette adosso un'incazzatura da bestie.

ecco, ma perché non rimani a bombarti la bellucci?
cy

Anonimo ha detto...

Cirè, fallo per me:
scorda lo zen in te
e sfoggia senza se
la tua tecnica karatè.
Poi chiedigli in Français
se ci fa o ci è.

Sor Marinetti (parole in libertà)