1.6.11

SENZA STORIA

Qui, dalla poltrona
d'una finale senza storia.
Nessun lutto al braccio, i giocatori:
Unicef, Nike non l'avranno concesso
ammesso sappiano chi siate, 
cosa sia successo.

Io, che vi so con la presunzione
da letture giudiziose
di certa cauta informazione
Chiedo, retore:
libertà o provocazione
apostrofarvi nella saccenza della distrazione,
solo a fugare un tiepido sopore?

Io, giovanilistico utopismo
che ancora misura sulle botte prese,
sulla persecuzione istituzionale,
il diritto soggettivo di tacere o di parlare.

Io, al riparo della vostra incomprensione
librato in libere associazioni,
scagiono questa complice disillusione.

Cari, 
avesse un'età
il diritto alla pura ingenuità,
se fosse mai concessa,
Non sarebbe la mia, certo
ma neanche più la vostra.

Voi, violento istinto
contro ogni imperativo:
foss'anche quello interiore
a difesa della specie, della sua conservazione.
Voi, disperata negazione
che ogni diritto affermato,
ogni azione rivendicata,
rifletta una reazione, debitamente commisurata.
Che oggi come ieri
ha il volto anonimo, temporale,
di umanoidi dell'Ente Statale.

Giunti a consegnare le stimmate
al valor rivoluzionario
nei vostri palmi aperti,
nei vostri sogni inerti
Che vogliono fecondare
un grembo sterile
del proprio sangue sacrificale
Generare una morale
da un ventre odiato, da cui non si vogliono distaccare

Giunti ad impartire la sola morale
che quegli ignavi, vostri padri,
non vi seppero tramandare:
accecati dalla ciclica primavera
che solo videro sfilare, 
ansiosi più che di vivere di poterlo raccontare.

Una morale di “Storia né lieta né innocente”
in cui “non ci sono poteri buoni”.
Ed il peggiore non è fuori
a martirizzare i vostri palmi, i vostri sogni;
il peggiore resta qui, saldo
in voi, in noi.

Una piaga ingloriosa, una crepa angusta
l'unica
che gli affamati di sacrificio, ardenti d'esemplare agire
dovrebbero forzare, ed alla luce uscire.

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