6.5.11

VOI, I RAGAZZI DELLO ZOO

"E andremo a prendere freddo da qualche parte..."


Amici, spero perdonerete questa copia sbiadita 
di quell'incedere a schiena dritta e nervi scoperti
che fu del nostro, mio ed anche vostro, padre Pier Paolo.
Cercate quella sconosciuta pietas per l'inadeguatezza mia ed anche vostra.
In fondo lui, che era lui, aveva ben altri interlocutori 
da cui farsi fraintendere, prima che odiare.

Erano i vostri, solo vostri in questo caso, padri e forse anche nonni.
Non i miei, spiacente amici. Mio nonno di rivoluzione ha visto da lontano 
solo il tramonto di quella di Russia, di ritorno con le scarpe in mano.
Quanto a mio padre, votava contro ad ogni occupazione
ansioso di quel pezzo di carta che ancora fugava l'oppio della dissociazione.
Ma i vostri padri ed i vostri nonni erano attori di valore,
così calati nel loro ruolo da arrivare, non in pochi, a convincersi che quel cielo si sarebbe lasciato assaltare.
E' dunque triste, vi capisco, che sia io a dovervi apostrofare
ma lo è altrettanto, credetemi, che i figli di quei padri e di quei nonni siate soltanto voi. 

E' passato qualche giorno, ormai, da quella Festa dei lavoratori
e mi chiedo dove siate, adesso, amici.
In qualche letto febbricitanti dopo tutta l'acqua presa sotto al palco?
O avete sviluppato anticorpi sufficienti ad immolare i vostri pochi anni
alle pose di circostanza senza apparenti danni?

Sapete, vi guardavo, infagottato sotto il mio ombrellino,
il fondoschiena umido di quella pioggia a vento, il disagio di non appartenenza
a quel povero rito collettivo.

Pensavo a quanto allora mi avevano incantato le vostre chiome grondanti: 
quando per diritto di nascita avrei potuto rivendicarvi fratellanza;
quando credevo fiera, e non mortalmente indolente, ogni vostra testa mossa a tempo, sapientemente.
Pensavo a quanto ora vadano oltre il semplice fastidio, in questa mia stagione da ospite non invitato;
quanto appaiano inutili e patetiche, buone solo alla pena disarmata di una mamma che vi aspetti alzata.

Mi sono sentito come un visitatore dello zoo, che ha pagato un biglietto esagerato
solo per scoprire con disgusto quanto già temuto: le scimmie sono migliori nei televisori. 
Solo stupito, forse, che paghino un biglietto anche loro, che sono lo spettacolo.
Eppure siete giovani, cultori della Giovinezza: sola grande famiglia, in questo paganesimo postmoderno, 
fratellanza di cocainomani lampadati e teste d'acido tatuate. 
A questo vi serve, dunque? Così poco vi salva, questa giovinezza che tanto feroci difendete, così disperati affermate?  
Solo per andare a prendere un po' di freddo da qualche parte?

Ora scusatemi, l'inutile sfogo è finito: inutile, ché non sono nemmeno capace a odiarvi.
Come diceva quel nostro padre, per sapere odiare bisogna prima imparare ad amare.
Ed in questo, il nostro fallire non è diverso.
Alla vostra età, quando è quasi inevitabile il destino sacrificale 
di chi ha in sorte una qualche, cosiddetta, sensibilità. 
Alla mia, quando a fronte d'ogni tentazione di vendersi 
non resta nessuno che voglia comprare. 


(Ai concerti in cui diffondevamo l'"amore") 

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