19.5.11

FANTASIA DI CAFFE'

Non è Parigi, qui. Non sei in uno dei caffè fantasticati
durante le ore immobili di francese.
E' una cittadina, immobile come quelle ore liceali
e la cittadina che allora le racchiudeva.
Dove i caffè erano e restano
nient'altro che bar, o fantasia.

Una cittadina, un mattino grigio di primavera, un treno soppresso.
Sguardi diffidenti o alteri - non sai capire
poggiati sul bancone, sulla chiave del bagno che sfili via.
Sguardi incuriositi o forse pietosi - finisci per vedere
poggiati su quel timido bicchiere di latte bianco, quel taccuino nero gualcito.

Fossi a Parigi, ti dici, non sembreresti matto
- a loro come a te
Né temeresti, ancora, di poterlo diventare
in un solo istante d'estraneità così - distratta, occasionale.

Ma sei qui, ti ricorda l'ennesimo portamonete firmato:
mano di un’età in cui tu contavi i soldi del gelato.

Qui, con questo spettro di pazzia.
Tu, il tuo placebo, una poesia.

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