20.5.11

IL SUICIDIO DEL SAMURAI

"Questa gioia che ci illude avrà cura di noi"


Gli abiti con cui colmiamo
i nostri armadi,
sono i cani, sono i cari
che non colmano i nostri cuori.

Gli abiti concessi, gli abiti negati
in vetrine dopo l'orario di lavoro.
Gli abiti in solitudine fantasticati
lungo strade già vuote del ritorno.
Gli abiti avidamente accarezzati,
morbidi nella luce tiepida di boutique:
quelle ideali case rassicuranti
quanto il diritto di portare uno di quegli abiti
senza sapere dove, delle nostre rinunce testimone.

Ma, ancora, un'inquietudine riaffiora:
silenziosi compagni del nostro benessere,
eleganti custodi delle nostre stanze,
questi abiti non coprono, non sanno proteggerci.

Così tanti sul nostro corpo solo.
Troppo ostinata la loro fibra delocalizzata,
per non sopravvivere, ironicamente,
alla nostra pelle ormai scadente.
O soltanto fuori stagione
dei nostri brividi e soffocamenti.

E' allora che invochiamo la moda:
legge morale dentro ogni armadio da vuotare.

Lì ci porta: a un cassonetto
o, meglio ancora, un senzatetto
che ci ripaghi in senso di colpa,
ci serva da igiene di coscienza,
abiti il vuoto dei nostri castelli d'assenza.

Questo ci dà: abiti in un giorno estranei,
inutili e ridicoli come samurai di ventura
cui non permettiamo di invecchiare:
come cani, il loro sguardo non sapremmo tollerare.
Dobbiamo spingerli ad un suicidio
in noi temuto, eppure, già compiuto.

Perché a cosa è ridotta,
questa nostra esistenza,
all'infuori dell'ultima tendenza?
Dov'è insostenibile, così estraneo
ciò che deve compiersi piano
perché incontri il suo destino
quanto più lontano.

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