2.3.13

America, my home sweet home...

Onde evitare ingenerosità di giudizio o stroncature puramente esibizionistiche, credo sia irrinunciabile una premessa. Un film del genere va scisso almeno in due elementi oggetto di potenziale analisi: la "messa in scena" e la visione politica - detto altrimenti, il momento tecnico ed il momento ideologico. Quanto al primo, nulla da dire, chapeau (almeno stando alle limitate conoscenze registiche di chi scrive): su tutto, onore al merito di chi riesce, come in questo caso, a rendere con la propria perizia non dico avvincente ma senz'altro non indigesta, una pellicola di circa due ore e mezza imperniata, al netto degli evanescenti richiami alle questioni politico-economiche sottese, su di un unico dato narrativo: la caccia al terrorista, sino al Terrorista per antonomasia... occidentale. Venendo invece al secondo elemento, sul quale ho la presunzione di disporre di qualche elemento critico in più, dispiace constatare null'altro che "il mondo come volontà e rappresentazione" (con buona pace di Schopenhauer) a stelle e strisce, o direttamente dal quotidiano Stars and Stripes. Ossia buoni contro cattivi, con un tocco sapiente di politicamente corretto per cui non si omette di denunziare, anche a costo di lungaggini diegetiche decisamente soporifere, (parte) dei crudeli mezzi che giustificano i nobili fini dei buoni - in questo caso non senza una consolidata scaltrezza nel selezionare accuratamente le pratiche meno disumane dell'inesauribile repertorio dei custodi della Democrazia. 
Dunque, se questo è l'"impegno" dei film che si piccano di sporcarsi le mani sul campo di battaglia, meglio rivedersi un Rambo (il primo, beninteso); o, per spostarsi su un altro pianeta, ben venga quella miopia patriottica di Cimino, che almeno fu grande cinema: per idee (poche ma coerenti), interpreti (inarrivabili), affabulazione tout court (indimenticabile) - mi riferisco ad Il cacciatore, i cinefili di casa su queste pagine perdonino la precisazione pleonastica.


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