26.5.12

La nebbia di tabacco narcotico del Capitalismo

- A Milano, quando c'è la nebbia, non si vede.
- Ah... e chi la vede?”


Alla cortese attenzione di chi,
pur smarrita o sconosciuta una residua coscienza di classe, serbi ancora consapevolezza del proprio potere d'acquisto. 
Che benedizione, ne converrà, quei beni di consumo dal prezzo di mercato sprovvisto di scala mobile capace di attrarre, catechizzare, ogni potenziale (anche lontanamente: ci si può sempre indebitare) consumatore accecato dalla devozione!
Ed il pensiero vola alle sigarette, che dalle buste di tabacco feticcio del post-proletariato più imborghesito sino agli impalpabili pacchetti di bionde snelle come dita d'ereditiere, erano e restano un bene, a ben vedere, di sfacciato quanto ineluttabile lusso.
Non so né mi preme particolarmente indagare quali ragioni macroeconomiche determinino quanto sopra, ma mi dico ben lieto d'essermi trovato dinanzi a cotanto status quo ante: credo, infatti, che se anche un giorno decidessi o non potessi esimermi dal riprendere a fumare, rammenterei comunque con quale evidenza nel tabagismo si manifesti quella rincorsa dei poveri alle terga dei ricchi: affannosa quanto bestialmente paga dell'idea di consumare un bene di qualità pari a quella riservata ad uno di quei privilegiati.
Siffatto “machiavello” potrebbe estendersi, a rigor di logica, ad ogni altro bene: sbiadite immagini di un savonaroliano Marcuse tra i nascenti malls californiani mi ammoniscono, dunque, a non confondere questa mia presa di coscienza con un'intuizione originale. Tuttavia una Coca Cola o, chessò, una maglietta Nike non potrebbero vantare la medesima valenza simbolica di un pacchetto di sigarette: l'una per il costo (capitalizzando la questua giornaliera può ambirvi anche un homeless), l'altra per la peculiare modalità di fruizione (qualsiasi bramante acquirente, o mero “utlilizzatore finale”, potrebbe risolversi ad economizzare per qualche tempo o, in mancanza, taccheggiare lungi dalle telecamere di un circuito chiuso). Non faticherà a compenetrarsi nella pratica del furtarello anche il più ligio cittadino occidentale medio: c'è lì qualcuno che non ne abbia esperito, nello svezzamento di ribellismo adolescenziale, il brivido proibito? Sono semmai gli straricchi e famosi, poi, a trascinare quel peccatuccio veniale oltre la soglia della psichica linea di confine.
Quanto invece al tabacco, come noto esso implica una modalità di consumo continua, o comunque costante, unita ad un costo mediamente alto (checché ne dicano i “tardi” rivoluzionari delle cartine) e ad una ben maggiore difficoltà di illecita sottrazione.
Per giungere, infine, al fattore uncinamento: quella predisposizione di una sostanza – e, per analogia, di una qualsiasi merce – a creare dipendenza in un certo tempo e con una certa stringenza, sono altresì scientificamente ignorante. Tuttavia tenderei a non escludere che il desiderio di una bibita o di un capo d'abbigliamento possa essere sapientemente reso non meno assillante del bisogno, fisico e psicologico, individuale come sociale, di una sigaretta tra le dita (schiavitù che gode di illustri nobilitazioni intellettualistiche: mi sovviene, tra la nutrita schiera, un'ode di Oriana Fallaci alla sua marca preferita, tra strali verso il tumore che la punì, previamente oltraggiata dagli antidemocratici divieti di fumo nei luoghi pubblici della "sua" America).
Grato dunque alle multinazionali del tabacco per aver mantenuto la loro nebbia narcotica così inconfondibilmente densa, rivolgo, ahimé, le mie pene all'alcool: solo in parte lenite da una certa esperienza personale di non spiccata inclinazione al tabagismo come all'alcoolismo. Ma non meno inquietante resta la consapevolezza che, per un esponente del ceto medio-basso, nel più vicino discount con pochi euro al giorno ci sarebbe di che stonarsi per diversi mesi, forse anni: di certo sino ad un punto di non ritorno fisico prima che finanziario. Se poi un mio pari per estrazione sociale volesse altresì soddisfare la propria “sete” di socialità, dunque persuadersi di bere con minor disperazione perché non solo come un cane, certo gli si assottiglierebbero le possibilità – vedasi lo spread tra una FinkBrau del Lidl ed una Peroni di un qualsiasi bar – ma credo che anche in tal caso un soggiorno in ospedale o nuove amicizie tra gli Alcolisti Anonimi non sarebbero proibitivi per le sue tasche. Tutto ciò, in passato, ero portato a considerare, con un cecità sì vergognosa da non poterla più scordare, quale residuo, se non di democraticità, quantomeno di timida umanità nel freddo mondo monetizzato di questa economia di mercato. Come dire che se anche un morto di fame poteva ubriacarsi senza previamente dover delinquere, almeno quell'ambito del consumismo non era ancora così impietosamente elitario e ghettizzante. Consumismo è la parola magica per comprendere tanta idiozia (nella quale, neanche a dirlo, ero in buona compagnia): partivo infatti dall'ineluttabile presupposto di essere un consumatore, attributo talmente consustanziale alla mia fibra umana da non essere neanche più ravvisabile come elemento aggiunto e, almeno teoricamente, estraneo.
Come ragionare di aborto senza ricordare che il precedente logico è il coito con le sue declinazioni politicamente codificate - giusto per riesumare uno dei passaggi meno compresi e dunque più vilipesi e poi rimossi tra gli scritti pasoliniani. O, per chiudere con un illuministico volo su ali di cera, come interrogarsi sulla opportunità di regolamentare la prostituzione – tema caro, a latere delle canne, a certa swinging sinistra post-amsterdamiana, ove non fo mistero di ambita militanza – disinvoltamente ignoranti di quali sapienti, articolate forme di alienazione manterranno sempre moderno quel mestiere cui si ammicca come il più antico.
Ma questa è una storia che meriterebbe spendita di ben altre parole...


P.S.

Il trattatello amatoriale sule dipendenze di massa che spero avrete appena letto, ha volutamente tralasciato la dolentissima nota televisione. Nelle più audaci chimere di chi scrive, infatti, il passaggio al digitale terrestre in Italia avrebbe potuto, data anche la peculiare contingenza economica, lasciar spenti per sempre molti televisori: il che avrebbe rappresentato una forma di ribellione - inconsapevole come nella Fratelli di Ungaretti - anche alla vigliacca legittimazione del monopolio di fatto che dai lontani '80 affligge il settore. Tuttavia chi comanda non è al potere casualmente, dunque gli apparecchietti di decodificazione sono spuntati in ogni dove a prezzi, fuor di virgolette, popolari. Guidando così una fallita rivoluzione che, se può consolare, quantomeno non avrà i difetti delle rivoluzioni riuscite - per dirla con qualche protagonista di anni svaniti a piombo.

5 commenti:

Orazio "Bertolaso" ha detto...

Quando ho letto di "tardi" rivoluzionari delle cartine non ho potuto fare a meno di pensare a Jessica "The Cat"..
Sinistra snob..

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

Bravo Orlo! Come mi cogli tu certo incarnato stereotipo culturale, nessuno mai...

Vilco alla guida di un risciò