20.3.12

POETI, AMLETI


Rispettabile Editore Ideale,

Vorrei scusarmi anticipatamente per la probabile prolissità che potrei di seguito concedermi, ma non trovandone al momento ragione, all’infuori d’una piaggeria delle più lise e muffite, temo sarà costretto a subire, per ventura resistendo nella lettura, la mia sconveniente veste sociale, prima ancora che autoriale. In fondo, mi sovviene in tempestivo aiuto, i casi sono due - mai che nella realtà si limitino a due, ma fingiamo ancora per una volta, vuole? Segnatamente, sarò una delle sue prossime alee imprenditoriali, oppure la sua ennesima seccatura. Nel primo caso non dovrebbe così volubilmente stancarsi di leggermi, anche solo al ricordo di quanto le sto costando; nel secondo, mi avrà ormai già zittito a morte in un pantagruelico distruggi documenti - che immagino troneggiante negli open spaces delle più prestigiose case editoriali - o tutt’al più impilato su ossuti, volenterosi avambracci di qualche stagista al lordo di rimborso spese: dunque il peso delle mie gracili idee non graverebbe che su uno sprovveduto fabbro delle proprie catene.
Qualora giunti a questa pietra emiliana del nostro comune cammino non fosse ancora così riluttante a seguirmi, sarei tentato di farle una confessione che, in quanto sbattezzato, non avrei più cuore di rivolgere nemmeno al mio mite insegnante di religione: avrei decisamente bisogno di un dottore prima che di un editore. Ma non dispero che il secondo possa aiutarmi a guadagnare il primo. Dico ciò non per incontinenza di ovvietà e cattivo gusto tali da giuocarmi l’unta carta d’un maledettismo de noantri - à la Asia Argento Angelo della vendetta de li Parioli, che so - ma per palesarle senza ulteriori indugi la ragione principale di questa mia. Avvertendo, fosse anche solo nel bisogno, di poter confidare nella sua capacità nonché volontà di comprensione, non è calcolato pietismo, che risulterebbe vanamente imbarazzante, a portarmi ad accompagnare le mie narcisistiche ambizioni alla pubblicazione con un inquietante ma direi fecondo interrogativo, rivolto a me prima che a lei.
La tedio, così, non tanto per chiederle un giudizio estetico-commerciale sulle mie fatiche poetiche, che pure scaltramente allego, quanto per domandarle se trovi, in coscienza, ragionevolmente calcolato il rischio che un aspirante autore stampato corre, son convinto, consegnandosi volontariamente alle stampe. Se dunque la possibile e certamente mobile gratificazione narcisistica - che, misogino quanto basta, mi figuro femmina dunque, in potenza, scientemente mignotta vigliacca fiera di selva oscura - valga il moccolo della probabile e forse inconsolabile distruzione di quell’io poetico che sia sì frivolo ed incauto da avventurarsi tra le affilate grinfie laccate dell’industria culturale, al pari di un’alticcia matricola di Comunicazione nella sua prima Via del Campo fuori Porta Maggiore. In soldoni, se a vostro giudizio nulla di utile e tantomeno necessario ci fosse - con riguardo alla sua identità letteraria, s'intende - tra ciò che di meglio credo d'aver fatto finora della mia vita, dove potrei rinvenire altra vita, e prima ancora forza di cercare, per costruire tenacemente dalle rovine o, con non minore stoicismo, intendere e ritenere di dover rinunziare?
- Già, ma della sua vita cosa mai avrà fatto, costui? - fossi in lei mi chiederei. Semplicemente, le risponderei, provare a non lasciare che ella, con i suoi accadimenti e i miei sentimenti, passasse invano, svanisse in fretta lontano, portando con sé il mio diritto di ricordare, oltre al dovere di capire. Mi rendo altresì conto di fornirle, con sincera vocazione d’innocente agnello sacrificale, un’imbarazzante pezza d’appoggio - per dirla con l’indolenza d’un funzionario ministeriale - ad un eventuale diniego che al sottoscritto non ammetta repliche, né da lei pretenda dazio in termini di sensi di colpa o tremori di sorta tali da guastare il mattutino dispiegare la cronaca locale, magari al sorseggio del suo cappuccio chiaro usuale. Ma così offenderei, me ne rendo conto tardivamente, la sua persona prima che la sua professionalità: dunque la pregherei di non tener conto di siffatta precisazione. Del resto, se ci si dovesse ridurre a pubblicare solo per scampare all’attesa sfibrante che l’aspirante autore si uccida - o uccida il suo aspirato editore - mosso dall’intollerabile frustrazione d'una più che nevrotica ambizione, nelle librerie non ci sarebbe più posto per la genesi dei dannunziani amori presidenziali come da afrodisiache cronache di Terza Camera del Parlamento.
Quanto ai miei paesaggi interiori presso i quali la invito a conclusione, ho scelto, di concerto con la mia sola non solo lettrice affezionata, mia fidanzata, di eleggerne solo alcuni scorci. Ne ho estratti nove più uno, tra simbologia medievale e scaramanzia meridionale: dovuto tributo all’ineluttabile correità del caso nel lacerare il silenzio dell’anonimato, oltre che vitale autoinganno a posteriore consolazione.
- Ho scovato con monacale zelo quelle più inadatte, dannazione, ma perlomeno non ho consegnato ad un rifiuto, invero alquanto annunziato, che un infinitesimale del mio ego disarmato! Potrò così continuare a ripetermi, nel familiare silenzio ritrovato di quel telefono che non squilla mai, “e piccole dosi di brandy...”

Con istintiva fiducia,
la sola concessami in quanto poeta.

Nessun commento: