3.3.12

IL GIORNO DELLA RIVOLUZIONE

“Io muoio, ed anche questo mi nuoce.”


Cumuli di parole invendute,
umide di nebbia come pioggia,
di buio ciclostile,
scarabocchiare i tuoi polsi d’eskimo
come, forse, i palmi il tuo bambino.

Androni, ringhiere, ballatoi
indistinguibili, inconfondibili
nel loro muto grigio acciaieria,
nell’asciutto ocra cooperativa.

Dentro alle finestre, quel cielo così bianco…
Così bianco dentro ai tuoi occhi nudi,
i tuoi spogli occhi lontani, ormai,
per sentirli urlare, vederli cadere:
i tuoi occhi, dissero, a terra senza rumore.

Senza che solo cercassi di raccoglierli,
senza che più trovassi il mio dolore
lì, tra le nostre rade vecchie parole
e quei tuoi occhi stretti,
ancora, una volta sola,
perché capissi di dover restare:
io, condannato a non morire.


Ai miei, a tutti i compagni.
Compagni di lotta, di vita:
perché perduta non sia mai finita.

A tutti coloro
che ancora sbagliano,
che ancora lottano
pagando sempre del loro.

Che ancora colpiscono
il loro solo cuore,
immutato da allora,
per cercare l’ultima libertà, la prima:
per urlare il diritto umano
a questo errare.


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