2.1.12

PIU' BELLA DELLA VITA E' STATA LA MIA POESIA

Ho da poco passato i trent'anni.
Sono passato attraverso quei pochi, lunghi anni 
in cui il mondo come lo conoscevamo,
quel mondo che ci ha preso ed adottato 
si oppone con minor inflessibilità
alla nostra ricerca del piacere,
così come alla ricerca che di alcuni, pochi di noi
compie la felicità.

Simile ad un genitore 
reso più indulgente di quanto non vorrebbe
dalla tenera età dei suoi figli, dalla loro commovente vitalità,
quel mondo ci ha guardato giocare tenendosi paziente in disparte,
in quegli anni così colmi di giorni 
da consumarsi lenti, senza che lo potessimo sospettare
se non nel sentore d'uno scoppio di vita in petto 
che ancora non era dolore.

Sono passato oltre, e quanto potevo ho afferrato del piacere:
la felicità, se avesse dovuto, 
mi avrebbe ormai cercato, preso, difeso.
Ma ora non c'è più tempo per ostinarsi nell'attesa,
tempo per la stupidità 
di chiedersi la nostra vita che sarà.
Per rispondersi basterebbe voltarsi,
là dove è stata, nel volto che ella ha avuto.

La felicità, so che fugace tornerà
a ricordarmi, instancabile, la sua esistenza
per brevi attimi in cui respirare 
ciò che nel petto è ormai dolore,
in cui ridere senza tossire, abbracciarsi senza tremare.
Ma guai, guai a illudersi! Fatale a quest'età è sperare,
fatale perché di ciò che resta 
dovremmo fatalmente chiederci che cosa fare,
ora che non siamo più vite da eleggere, fortuna o disgrazia da dispensare,
ma sta ancora a noi scegliere, delle nostre vite cosa lasciare.

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