30.12.11

PER TE CHE NON HO SENTITO

“Sai, quando tornerai io sarò già via, senza un’idea…”


Scrivi, Ho le tasche piene, dopo quattro date di seguito,
le tasche piene di piccole poesie che continuano a darmi alla fine dei concerti.
Penso, Ho rischiato anch’io qualcosa di così pateticamente ingenuo.
Ma tu stasera avrai suonato, ormai, nella città in cui sono nato  
ed io me ne sarò già andato
per non gualcire quella pagina chiusa con cura nel cuore,
quella pagina che appartiene solo alla scorsa estate, eppure,
dove tutto ancora, dalle tue parole fuori d’ogni canzone
al pubblico ineluttabilmente allineato
ma in arroganza e banalità elegantemente moderato,
tutto s’è librato altrove,
via dalla feroce, infaticabile fame della delusione.
Sento, velenosa ironia, Non hai mai avuto un’età per stare sul palco,
non ne hai più una per starvi sotto.
Come se ci fosse un’età cui è concesso essere patetici,
nel nostro mondo di patetismi obbligatori
fino ai giorni delle carrozzelle mosse da ucraine amarezze.
Come se essere patetici in gioventù,
fingere di non riconoscere la speranza, non più,
quando ancora c'è un orizzonte in cui provare a scorgerla, laggiù,
fosse un peccato meno mortale, contro altro da se stessi.


A Vasco,
noi figli che non avremo

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