4.5.11

GLASSA

Una parola che non incontravo da tanto. Questa sera, appena letta in un famoso racconto, mi ha riportato ad una mattina lontana. Alla scuola elementare, durante la lettura di uno di quei raccontini che anche persone della nostra età avrebbero apprezzato solo se costrette, o molto limitate: per la maggior parte di noi credo valesse il primo caso.
Si parlava di una torta ed una festa rovinate da un temporale estivo ed infine sostituite da un gelato al bar. 
Quella mattina c'era un uomo a fare dei lavoretti nella classe: tutti noi furtivamente distratti dalla curiosità e la soggezione per questo signore ancora giovane dalla pelle sciupata, lisci capelli chiari, ed occhi trasparenti come il vetro. 
Finito di leggere, la maestra rivolta a lui: 'Angelo, - così mi pare si chiamasse, proprio come un nostro compagno dalla pelle precocemente sciupata - ti piace la glassa?' E lui, senza traccia della soggezione che avevo  visto negli occhi di molte mamme, ingioiellate e non, come la mia: 'Naa, troppo dolce.' La maestra sembrò assentire di complicità.
Quando più tardi quella mattina, ed altre mattine ancora, lo sentii nel corridoio che fischiettava come io non ho mai imparato, immaginai con imbarazzo e malizia la maestra segretamente innamorata di lui, che si tradiva, forse volontariamente, facendo notare a tutti noi com'era dolce quel fischiare. Pensai poi che quell'uomo così libero doveva essere anche felice: non sembrava temere né appartenere a quel mondo che puntuale aspettava alla mattina ognuno di noi.
Questa sera, lo stesso mondo puntuale che per oggi sembra essersi stancato, ripenso a lui, ai miei pensieri di allora, 
e forse anch'io assento di complicità. 

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