26.4.11

CAMBI DI STAGIONI

C'era un uomo su quel treno vuoto
del Venerdì Santo.
Un uomo in abiti alla moda, come appena comprati.
Un uomo vestito da ragazzo.

C'era un uomo come ce ne sono tanti nel mio paese:
affezionati all'aperitivo, abbonati al solarium.
Ma no, lui non era come loro: era pazzo quell'uomo.
Pazzo come quelli delle enoteche, dei centri estetici non sono.

Mi ha chiesto tra denti fragili, grigi: 'Dove va questo treno?'
Ho risposto con fretta e distacco adeguati all'imbarazzo;
con occhi bassi, fissi sulla piega morbida di quel blazer, la gomma immacolata di quelle suole;
con l'incolmabile mia assenza umana a questi momenti, a queste domande.

Ho risposto pensando alla boutique per bambini dove sfilavo nel cambio di stagione.
Il mio impaccio rabbioso riflesso dagli occhi vuoti della venditrice, gli occhi colmi di mia madre.
Quella mia pena che ancora c'era: la pena ancora umana, dolente 
per uno stipendio inadeguato, per un padre assente.

Pensando a chi ha vestito quest'uomo allora.
A chi forse sacrifica uno stipendio, una pensione, ancora.
Madri troppo ricche: malate di colpa, di debolezza.
Madri troppo povere: malate di pena, di impotenza.

Madri condannate a non dire, fare
mai a sufficienza.

Nessun commento: