5.3.11

LEO, E' QUESTO CHE SIAMO?

Ho desiderato troppo una diversità irreale, cercato a lungo un non luogo:
la diversità delle pulsioni, dei loro appagamenti detti piaceri, la diversità dei miei stessi desideri.
Ormai stanco e nauseato. In nulla diverso da chi ho strenuamente disprezzato: i miei incrollabili antimodelli, i fermi propositi di non essere, non così.
Ma mi ingannavo, non era quella la diversità possibile, necessaria. Non quella, non la mia almeno, ora è chiaro.
Quella che voglio, devo, raggiungere e difendere, è la diversità di un rifiuto. Il rifiuto di quanto disprezzo, di una natura che non voglio mia, e che lo è. Dunque il rifiuto necessario anche di me, di parte di me.
Il no a ciò che ho, che ignoravo, ma che qui, dolorosamente, è. Che non posso allontanare, non guardare, posso solo non seguire, non ascoltare.
Il no che può e deve separare, se detto, se ripetuto, l'essere uomini dall'essere qualcos'altro: qualcosa il cui essere non è che l'ennesimo anonimo, falso nome del non essere.

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