27.6.13

VITE DI UN AMORE


Dunque l'amore durerebbe tre anni, Monsieur Beigbeder? Forse per lei, ma per altri molto meno: ecco perché questi possono decidere di farlo durare quanto credono e necessitano (… entrambi gli amanti, si spera!). Tuttavia, se anche l'amore durasse tre anni, l'attrazione irresistibile, quella che non può disgiungersi dal terrore ossessivo della perdita, dell'abbandono, si limiterebbe a tre mesi: quando le fantasie di altri corpi iniziano a travalicare i limiti della possibilità per farsi necessità, puntualmente intrisa di un inutile ed impotente senso di colpa. Il progressivo esaurimento del desiderio verso l'altro, stabile ed unico interlocutore erotico, avrà poi a che fare piuttosto con qualcosa che ricorda l'acuta indigestione per un cibo di cui ci si sia scoperti ghiotti, piuttosto che la cronica nausea per un liquore che ci abbia casualmente inebriato, per poi ubriacarcene ferocemente. Tuttavia, benché avvertita in noi quest'elementare verità, preferiamo continuare a rifugiarci nella consuetudine della monogamia: mortificando così i nostri corpi ma pure – forse neanche sospettandolo – le nostre anime; condannando quella rara affettività che ci è concessa, ad un'esistenza assai più breve ed angusta di quella che avrebbe potuto vivere; ed impedendole, così, non certo di lenire la nostra solitudine esistenziale, ma perlomeno di consolare quella paura vitale.
In fondo c'è molta meno ingiustizia e violenza – il che svuota d'ogni residua rilevanza il concetto labile di naturalezza – nell'affettività omosessuale: lì possono incontrarsi, infatti, creature mosse da bisogni assai meno divergenti di quelli che contrappongo un uomo ed una donna reciprocamente attratti.  

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