9.9.11

LA SOLITUDINE DEI CANI

Sono gli altri che lo decidono quando uno deve diventare matto.”

Per guardare ciò che ho visto, per ricordare ciò che rimane
quanto di voi in me dovrò per sempre dimenticare?
Quanto lasciarvi di me che da sempre vi appartiene?
Io vi sento, ancora. Io che difendo, ora
nella sterile bianca luce di questo mondo vostro
ogni mia fragile, ostinata parola.
Ogni parola invocata che a me viene,
ogni parola che mi consola e non mi appartiene.
Ogni parola che voi tutti, paterne maschere deformi, 
accecanti di agnosticismi mal recitati,
per il vostro esangue diletto ancora in me 
sapreste dissanguare, d'ogni stilla
in un sudario di scherno feroce, di indifferenza atroce 
rinchiusa, ad un freddo pugno di terra abbandonare.
Voi e la vostra fierezza impunita d'estraneità innata
al pudore anche di un istante disarmato d'esitazione.
Voi e il vostro tremore d'infenzione, orrore di quanto genera 
l'ozio malato, parassitario del mio guardare.
Voi tutti voltati in un istante
altrove d'ogni residuo osceno reale,
voi rivolti nell'unica direzione, 
verso la cadente illusione di un perpetuo, muto fare.

Io, nobiltà decaduta di questa mia vita invenduta,
dallo schermo trasparente di un treno puntuale, gremito, rassicurante
Io come un reporter dietro ai filtri dei suoi obiettivi
puntati su uomini e terre di fame e di guerre,
cerco le mie colonne etiche stagliarsi sulle paludi rimaste.
Trovo un solo uomo, lì fuori. 
Un uomo solo, un cane, una morte.
Una morte che scivola oltre, trafelata:
in volto il disprezzo composto dell'italiano morboso,
quell'antico piglio operoso di decoro esibito, prudentemente oltraggiato.
Una morte provocatrice, ben piantata
su membra dure di schiavi meschini, delatori di lager,
nella coltre velenosa di un tabacco miserabile, di un ghigno tagliente
affilato nell'infantile leggerezza di slava indolenza.
E' la morte sociale, la morte che per un uomo solo non giunge mai puntuale.
Quest'uomo e le sue braccia blu di fantasie sbiadite,
le sue braccia sole su cui issarsi per cadere, ogni volta, ancora.
Nei solchi fondi degli occhi, le gote esplose di rosso, la barba ingiallita,
la sua ultima, unica maschera di dolore.
Dolore di chi non sa più camminare,
disperazione di chi non ha più dove andare.
Un uomo, un cane: 
annoiato ma rispettoso, sbadiglia composto, 
dispera, forse, ma non si allontana.
Un uomo, il suo cane: 
quell'ultima, unica vita 
cui l'ho lasciato andando via.
Dimenticandolo, prima di usarlo per farne poesia.


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