30.11.11

SOPRAVVIVERCI

Giorni di rigoglioso egoismo
in cui chiedo di non invecchiare
per vanità, falso pudore
a nutrire questo mio solo timore
di trascinarmi troppo lontano, oltre,
fin dove tu mi debba dar da mangiare.

Giorni di rigoroso eroismo
in cui cerco di non morire,
non rinunciare ancora a chiedermi
cosa ci sia in me da dover salvare,
cosa io sia che senza pagarne la vergogna
tu possa tenere in te, ricordare.

E' l'ambizione dei dilettanti,
quei colpevoli che confessano
la spaurita vanità di vedersi pubblicare,
che leggono Saba sperando già di trovarvi
quella fraternità senza consolazione,
quell'assenza d'odio a protezione
da ogni D'Annunzio della cultura statale.

Perché io spero di lasciarmi morire
solo come bambino poter dormire
in attesa sicura di mia madre,
minuscola vita operosa dalla finestra accesa
di uno degli infiniti condomini alveare;
così vecchio in campi bianchi e silenziosi
di edizioni eleganti e spero non costose,
lasciate intonse nella loro dignità
sugli scaffali più alti e riparati
di qualche malinconica libreria provinciale.

Dove un giorno tu possa passare
forse turista ancora curiosa di pomeriggi festivi
e con la dolcezza più struggente che appartiene al caso
scoprirti a cercare scaffale dopo scaffale,
per poi trovarmi senza più pena, solo innocuo sollievo
e lasciar scorrere le mie parole ormai silenziose
tra gli anni e i ricordi e le dita
che per te vorrei stanche d'opere non di lavoro,
d'inquieta intenzione più forte d'ogni solerte rassegnazione,
dita commosse senza invocare alcuna patetica, vecchia illusione.

Prima di restituirmi a stento, puerile alibi di infinita cura,
lasciarmi al riposo di quella brossura
che forse io stesso non avrò avuto il tempo di dedicarti;
prima di tornare alla tua vita di domani,
ricordando per una sera di non avermi dimenticato.



A Cris,
nelle sue domeniche in cui già mi manca

29.11.11

IGIENISTE MENTALI

L'ancor giovane dentista associata
del mio quasi vecchio e fidato,
che centellina lasciva ma severa
le proprie invadenti pressioni mammarie
sulla scatola cocciuta del mio capo
pulsante nell'intimo di guizzante dolore elettrico
ai metodici scavi dei suoi ferri parachirurgici,
mi riporta, nelle sedute più candidamente nostalgiche,
alle infermiere da cui farsi fare l'amore in Generale;
mentre in quelle invariabilmente nere,
dalle quali solo rifugio sembrano essere le fughe
verso epiche fantasie d'Eldorado globale,
mi piace pensare nella vischiosa, torbida indistinguibilità
di intenti e fatalità chiuse ogni volta con l'ultimo bottone
dei camici d'insospettabili infermiere puttane, conscie del proprio potere
come della propria ineluttabile vocazione a consolare,
a credito o tariffa ridotta, qualche omerico marine
ormai monco negli arti come orbo negli intenti.
Forse arrese, anche, alla loro gracile morale
nutrita a condanna ed espiazione, pena e assoluzione,
mortificata nell'impari confronto con la placida, sola via orientale.

27.11.11

IMBRUNIRE 

Come le luci nelle nostre case
che nei pomeriggi d'autunno
stentiamo ad accendere, sospesi
tra nostalgia struggente del giorno
e consolante rassegnazione della sera...

Così i nostri anni
non più giovani ma giovanili,
non ancora vecchi ma senili,
i nostri anni irrisolti quanto noi
tra patetici vitalismi e sentimentali contrattualismi.

26.11.11

VECCHI ESTRANEI 

Avevo sempre, ottusamente
quanto vigliaccamente,
cercato di nascondermelo,
ma una sera, nella solitudine
d'echeggiante silenzio condominiale
in un ennesimo buio soggiorno estraneo
e impersonale quanto una stanza d'ospedale,
illuminato distrattamente dai fari delle auto
e dai lampioni del viale sottostante,
mi fu detto chiaro da tutto ciò che mi circondava
e che sembrava proteggermi con riluttanza
non dissimulata: la causa della mia solitudine
e il sordo rifiuto che da sempre le avevo opposto,
avevano una comune origine.
Ed era la mortificante innegabilità
che la mia compagnia non fosse delle migliori.
Utile, forse, a conoscere qualcosa della vita,
ma del tutto inadatta alla sua frequentazione.

25.11.11

GENTE IN CASA

"... così non pensi, almeno fai qualcosa." 


Come tutto, mi ripetevo, 
minaccia in una coppia 
la reciproca libertà d'esser tristi,
diffidenti, rabbiosi!
Come si colpisca l'odio senza accorgersi, 
se non beffardamente tardi, 
di stare attentando all'amore...
finanche nella più banale
imminente occasione di dovere mondano.
Impallidivo, sollevato che fosse ancora un pensiero,
alla prospettiva, che ripetevo estranea,
di impegni, patti, vincoli ben più gravi 
e longevi: un tetto condiviso,
un'unico stipendio, le aspettative o le delusioni dei genitori,
i doveri o il rifugio in una prole.
Tutte le incurabili mistificazioni
di propri più nitidi panorami interiori,
che si preparano a legittimare,
con la fredda inumanità d'una ragion di stato,
ogni futura, ormai vitale
intima rassicurazione nella recita esteriore. 


24.11.11

REPRESSIONE E CIVILTA'

“La repressione è il nostro vaccino: repressione è civiltà.”


Nel freddo grigio di un mattino autunnale,
sento alla radio degli sfollati nottetempo
da Zuccotti Park, New York.
Poco dopo, dallo schermo della tv famigliare,
vedo universitari californiani
rannicchiati stretti come orfani nei canili,
come occhi ed ossa nei documentari,
in un'ostinazione così innocente e americana
cantata al mondo sin dalle fragole ed il sangue,
il pane e le rose.
Guardo la polizia, che non li picchia:
sarebbe stato, idealmente certo,
non violento come quello spray
sparato da distanza di legittima sicurezza,
come per paura del morso, del contatto, del contagio
da parte d'animali la cui stessa esistenza
sia all'uomo civilizzato d'intollerabile violenza.
Penso al paese che non direi mio
ma in cui sono nato, penso a questa Italia,
alle esternazioni di misurata arteriosclerosi,
alle esibizioni degli ultimi riluttanti giorni
di un ministro e Presidente della Repubblica
con la K ormai sbiadita sui muri come nelle coscienze,
quando ammoniva ad una sempiterna saggezza di questurino
per cui c'è sempre da munirsi di sufficiente violenza
da infiltrare in un corteo, in una manifestazione,
per poter poi raccogliere solo gli applausi e i silenzi
alla doverosa, paterna, educativa repressione.
E finisco per chiedermi quale,
tra la Madre e la Figlia,
quale tra queste due esemplari democrazie
finga meglio. E quale, dentro, stia più male.

23.11.11

PADRI PRATICANTI

Li vedi, alle ormai borghesi otto del mattino,
con sguardi estranei, come indignati
d'alba: quei lustri musi gonfi
di eterni figli fuorisede, ribelli solo
nel folto carciofo scomposto
- stizzosamente domato o tronfiamente inarcato
a scialacquone spatolate di lucidissimo mastice -
esibire, accidioso e disinvolto, l'intimità di seconda generazione
con il sonno più fondo, con il cafferino già girato
tra coltri ancora tiepide rovesciate nobilmente,
con la prima ultra slim baciata nell'esausto mestiere
che si riserva ad una promessa, storica fidanzata.
Li vedi trascinare come forse i loro padri, tutt'ora,
carriole gelide e fangose o roventi e polverose
in quel che resta di un'Italia rurale e vergognosa
come i loro palmi di terra callosa.
Li vedi trascinare con mani larghe ma inutili,
di unghie fragili ma ben disegnate,
fardelli di figli smilzi e tossicchianti come foglie,
doveroso impaccio fugato nella fierezza dell'altra mano
stretta sulla pelle inebriante di cartelle
così elegantemente snelle di zelanti praticanti,
impeccabili nullafacenti.


21.11.11

MANGIAPANE

C'è una tristezza nei figli
imperdonabile dai genitori:
ingratitudine, la chiamano.

18.11.11

SUONA LA CAMPANA

Il tempo passa sempre,
che lo si osservi bene
o lo si finga di ignorare.
Il tempo passa ancora
per chi si tenga lontano dalla scuola
come per chi ci torni ad insegnare.

17.11.11

PORNO

Finché un giorno non vedi,
quel giorno in cui riconosci
visi gemere di dolore, ani rotti lacrimare.
Ed hai un bel credere di non capire,
quelle torture sono vere.
Ma non c'è tempo, né rifugio
dove ancora perquisire le vittime,
interrogare i loro carnefici:
qui, in questo luogo comune
di colpevoli ammucchiati con gli innocenti,
c'é solo il male.
Ogni loro pene indifferente
scoppia dello stesso male tagliente
che gonfia il tuo, impotente.
Ora sai ciò che hai sempre ignorato.
Ciò che non sai
è come potrai, da oggi in poi.
Di te, unico giudice e superstite, che farai?
A te, che dirai?
Ti assolverai o condannerai?

16.11.11

PICCOLI MATTINI SENZA IMPORTANZA

Centro per l'impiego.
Come sugli autobus, nei discount, nelle Asl,
le sole facce non vecchie, non ostentatamente estranee
nella loro vergogna mal dissimulata,
sembrano facce non italiane.
E forse lo sono...
forse perché hanno ancora troppa fame?
Centro per l'impiego.
Dove incontrarti,
così caparbiamente familiare, ormai,
a queste vetrate mai aperte,
questi corridoi prefabbricati,
questi marci, curvi, italiani impiegati.
Dove incontrare te,
già vent'anni fa così invidiata,
solo dieci anni fa così amata,
così impietosa, questa vecchiaia ti ha ingannata.
E non saper che dire,
come prolungare, riempire
questa nostra cordialità impacciata,
di voci troppo alte, parole troppo concitate
perché resti qualcosa oltre al silenzio sterile 
di una reciproca pena.
Ma in fondo tra noi
cosa c'era mai, allora,
da dire, cosa c'è qui, ancora,
di non detto; cosa c'é
e se mai, cos'é?

15.11.11

Ah... ma allora lei è 'anti'... come me!

Ora che quello lì si è dimesso, ci terrei a dire una cosa "... non di sinistra, di civiltà".
Una cosa squisitamente politica, al netto delle necessarie implicazioni sociologiche e antropologiche che pure mi premono ben di più, ma sulle quali mi sono già largamente speso. E vorrei dire che Berlusconi io non l'ho votato, mai, e tanti altri come me, ma in questi anni mi sono sentito, e mi ritengo, berlusconiano, così come ritengo berlusconiana la gran parte degli italiani. Mi ritengo berlusconiano come ritengo fascisti i nostri nonni, democristiani, comunisti e poi socialisti i nostri genitori. Indipendentemente dal voto, che non è richiesto, "non ora, non qui", né per esprimere adesione ad una forma di potere, né per l'affermazione di un'identità. Se Berlusconi si candidasse ancora, forse a questo punto lo voterei pure: giusto per aggiungere, nel paese delle rassicurazioni burocratiche, un ultimo, esplicito assenso de iure al mio, e nostro, ormai comprovato silenzio assenso de facto. Giusto per dare ad un italiano, me stesso nella circostanza, il brivido della vergogna vera, profonda, intera, la sola dalla quale potrebbe nascere "un giudizio netto, interamente indignato". Quanto a voi, vi lascio la libertà che il vostro culto per il giuoco democratico vi tiene in caldo, e dunque se altrimenti non sapete fare, "provate pure a credervi assolti..."

14.11.11

PEDERASTIA E INCOSCIENZA DI CLASSE

Mi imbarazzano?
Ebbene sì, mi imbarazzano i vostri occhi, 
mi imbarazza dovervi guardare in faccia:
ma non per vergogna, non più, 
spiacente. 
Non mi sento colpevole né tantomeno peggiore 
della vostra virile fierezza di bestie da monta.
Mi imbarazza l'omologata banalità
dei vostri volti lustrati, dei vostri toraci levigati,
così inutili e, assurdamente, venerati.
Datemi dunque i vostri cazzi senza uomini,
i vostri coglioni senza palle,
inondatemi delle vostre sborre senza seme!
Lasciate per una volta parlare, sputare 
solo ciò che né prima né poi
vi obblighi a pensare.
Io vi chiedo, con i vostri occhi,
imparate solo a tacere. 

13.11.11

SMETTERE

Le sigarette che più non fumiamo:
questo calore d'oggi,
consolazione che non sentiamo;
questa luce di domani,
promessa che non vediamo.

11.11.11

TURISTE DELLA DEMOCRAZIA

… E ci indigneremo.
Perché lì le femmine non l'han scelto,
il loro vestito nero.
E le istigheremo, le fomenteremo,
fino alla rivolta le guideremo:
fino alla fine delle ferie,
finché non avranno gambe
per camminare sole, ormai donne,
verso il rogo che le attende.

Mentre noi, ormai di lontano,
dalle aule universitarie,
dalle poltrone dirigenziali,
ne seguiremo le inique sorti
- fieramente partecipi,
sobriamente commosse -
nel nostro cauto quotidiano.

… E poi una sera brinderemo,
con quel Negroamaro che ci ricorda
ciò che a volte, durante le ferie,
noi tutte, insieme, siamo.


Collettivo Nuove Streghe - Via Padova, Milano

10.11.11

Bagatelle

Quanta ipocrisia nel recitare indignazione davanti alle scomposte, sincere derive misantropiche di un Céline! I più zelanti, in questo, sono spesso quegli stessi che sbavano sulla presunta eleganza del freddo cinismo di un Hemingway, di un Bukowski. Come se disprezzare gli uomini uno per uno sia stile, odiarli tutti insieme diventi crimine...

9.11.11

I diritti della solitudine

"Vi amo, voi tutti che siete in questo bar!"


E fu dal bancone di un commovente bar panetteria pizzeria di prima periferia (angolo via del Circuito con via Pian delle Mele), che colsi il momento esatto in cui la solitudine rivendica alfine, esplicitamente, i suoi diritti sulla tua vita: quando quel familiare soliloquio di sempre, inizia ad avere la tua voce. Ma è solo capendo, poi, che la vera ragione per cui si è smesso da tempo di stare tra gli altri è che la circostanziale conversazione che dovevasi intrattenere, si sostituiva illegittimamente al proprio dialogo personale, che quei diritti acquisiscono la dignità necessaria a rivendicarli. Quella dignità che in troppi non riconoscono o fingono di non riconoscere, come i suoi titolari, nei pazzi che parlano da soli, ormai invidiabilmente sordi alle parole altrui.

8.11.11

Troppo tardi

Presidente,
perdoni l'approccio informale. Sono il giornalista e autore Paolo Barnard, lavoro da due anni con il gruppo di macroeconomisti del Levy Institute Bard College di New York sulla crisi dell'Eurozona. Siamo guidati dal Prof. L. Randall Wray dell’Università del Missouri Kansas City, che coordina altri 10 colleghi inglesi e australiani.
 

Presidente, è incomprensibile che Lei non scelga di salvare la nazione, e il Suo governo, rendendo pubblico che:

a) l'Euro fu disegnato precisamente per affossare gli Stati del sud Europa, fra cui l’Italia.

b) esistono responsabili italiani ed europei di questo "colpo di Stato finanziario di proporzioni storiche". (una definizione del tutto ragionata offerta dell'economista americano Michael Hudson)

Presidente, dalle pagine del Financial Times, del Wall Street Journal e persino del New York Times, da mesi economisti del calibro di Martin Wolf, Joseph Stiglitz, Paul Krugman, Nouriel Roubini, Marshall Auerback, Le stanno suggerendo la via d'uscita. A Parigi, l’eccellente Prof. Alain Parguez dell’Università di Besancon ne ha trattato esaustivamente. Wray e i suoi colleghi Mosler, Tcherneva e Hudson pure. Nel dettaglio, essi hanno scritto che:

L'Italia è stata condannata a un’aggressione senza precedenti da parte dei mercati dall'operato dei governi di centrosinistra che La hanno preceduta, poiché essi hanno portato il nostro Paese nel catastrofico costrutto dell'Eurozona. Le famiglie italiane e il Suo governo non devono pagare per colpe non loro. Lei deve dire alla nazione ciò che sta veramente accadendo, e chi ci ha condotti a questo dramma.

L'Euro fu pensato nel 1943 dal francese Francois Perroux con il dichiarato intento di "Togliere agli Stati la loro ragion d'essere". La moneta unica è infatti un progetto franco-germanico da quasi mezzo secolo (Attali, Delors, Issing, Weigel et al.), col fine di congelare le svalutazioni competitive d'Italia e Spagna, e col fine di deprimere i redditi del sud Europa per delocalizzare in esso manodopera industriale per l'esclusivo vantaggio del Neomercantilismo franco-tedesco.

Specificamente, la moneta unica:

- Esclude un prestatore di ultima istanza sul modello Federal Reserve USA, proprio per portare la sfiducia dei mercati sui debiti dell'Eurozona.

- I debiti dell'Eurozona non sono più sovrani, poiché l'Euro è moneta che ogni Stato può solo usare, non emettere, e che ogni Stato deve prendere in prestito dai mercati di capitali privati che lo acquisiscono all'emissione. L'Euro è moneta di nessuno, non sovrana per alcuno.

- I due punti precedenti hanno distrutto il fondamentale più importante della macroeconomia di Stato, che è "Ability to pay", cioè la capacità di uno Stato di onorare sempre il proprio debito emettendo la propria moneta sovrana. L’attuale aggressività dei mercati contro il nostro Paese (ed altri) è dovuta in larghissima parte proprio alla loro consapevolezza della nostra perdita di "Ability to pay", la cui presenza è infatti l'unica rassicurazione che può calmare i mercati. Motivo per il quale il Giappone dello Yen sovrano, che registra il 200% di debito/PIL, non è da essi aggredito e ha inflazione vicina allo 0%. Motivo per cui l'Italia della Lira sovrana mai si trovò in condizioni simili al dramma attuale, nonostante parametri ben peggiori di quelli oggi presenti.

- L'Euro è moneta insostenibile, disegnata precisamente affinché l'assenza radicale di "Ability to pay" nei governi più deboli dell’Eurozona inneschi un circolo vizioso di crisi che alimenta la sfiducia dei mercati che alimenta crisi. Non se ne esce, qualsiasi correttivo non altera, né mai altererà, questo fondamentale negativo, e i mercati infatti non si placano.

- Le estreme misure di austerità per la riduzione del deficit di bilancio che vengono oggi imposte al Suo governo, sono distruttive per la Aggregate Demand di cui qualsiasi economia necessita per crescere. Sono cioè il farmaco che causa la malattia, invece di curarla. Anche questo non accade per un caso.

- Tali misure ci vengono imposte proprio perché il nostro debito pubblico non è più sovrano, a causa dell'adozione di una moneta non sovrana. Infatti, ogni spazio di manovra del Suo governo al fine di stimolare crescita e riduzione del debito attraverso scelte di spesa sovrana (fiscal policy), è stato annullato dall'adozione della moneta unica, che, ribadisco, l'Italia non può emettere come invece fanno USA o Giappone. Si tratta di una perdita di sovranità governativa senza precedenti nella storia repubblicana, e di cui le misure imposte dalla Commissione UE come il European Semester e l'Europact sono l'espressione più estreme, ma di cui noi cittadini e Lei paghiamo le estreme conseguenze.

- L'Euro e i Trattati europei che l’hanno introdotto, sbandierati a salvezza nazionale dal centrosinistra, stanno, per i motivi sopraccitati, umiliando l'Italia, nazione che ha uno dei risparmi privati migliori del mondo, 9.000 miliardi in ricchezza privata, una capacità industriale invidiata dai G20, banche assai più sane della media occidentale, e parametri di deficit che sono inferiori ad altri Stati dell'Eurozona. Lei, Presidente, sarà il capro espiatorio, noi italiani ne soffriremo conseguenze devastanti per generazioni.

Presidente, Lei deve e può denunciare pubblicamente la realtà di questa moneta disegnata per fallire. Lei può e deve smascherare le responsabilità del centrosinistra italiano e dei governi 'tecnici' in queste scelte sovranazionali catastrofiche.
 

Presidente, il team di macroeconomisti accademici del Levy Institute Bard College di New York e dell'Università del Missouri Kansas City, sono coloro che hanno strutturato il piano Jefes che ha portato l'Argentina dal default al divenire una delle economie più in crescita del mondo di oggi. Essi sono a Sua disposizione per definire sia la strategia comunicativa che quella economica per salvare l'Italia, e il Suo governo, da un destino tragico e che non meritiamo.

In ultimo una precisazione di ordine morale.

Presidente, io non sono un Suo elettore, e avrei cose dure da dire sul segno che la Sua entrata in politica ha lasciato in Italia. Ma non sono un cieco fanatico vittima della cultura dell’odio irrazionale che ha posseduto gli elettori dell’opposizione in questo Paese, guidati da falsari ideologici disprezzabili, come Eugenio Scalfari, Paolo Flores d’Arcais, Paolo Savona, e i loro scherani mediatici come Michele Santoro, Marco Travaglio e codazzo al seguito. Perciò come prima cosa mi ripugna che Lei sia bollato come il responsabile di colpe che Lei non ha, e che sono tutte a carico del centrosinistra italiano. Incolpare un innocente, per quanto criticabile egli sia, è sempre inaccettabile. 



Ma soprattutto, Presidente, se l’Italia verrà consegnata dal golpe finanziario in atto contro di noi, e da elettori sconsiderati e ignoranti, nelle mani del Partito Democratico, per noi sarà la fine. Sarà l’entrata trionfale a Roma dei carnefici del Neoliberismo più impietoso, sarà la calata della Shock Therapy su un popolo ignaro, cioè il saccheggio del bene comune più scientificamente organizzato di ogni tempo, quello che nell’Est europeo ha già mietuto più di 40 milioni di vite in due decadi, senza contare le sofferenze sociali inenarrabili che porta con sé.

I volti di Mario Monti, di Massimo D’Alema, di Mario Draghi, di Romano Prodi, dell’infimo Bersani, sono le maschere funebri di questa nazione, veri criminali e falsari di portata storica. Il cerimoniere complice si chiama Giorgio Napolitano.

Mi appello a Lei Presidente perché mi rendo conto che i miei connazionali non hanno la più pallida idea di ciò che il centrosinistra italiano ha già inflitto al nostro Paese, di ciò che gli infliggerebbe se salisse al governo, ma soprattutto di chi li guida dietro le quinte. Le eminenze grigie sono le elite Neoclassiche, Neomercantili e Neoliberiste, gente senza nessuna pietà.

Resista Presidente, affinché Lei possa usare il tempo che Le rimane per smascherare il “colpo di Stato finanziario” che sta travolgendo, fra gli altri, la nostra Italia. I mercati finanziari della “classe predatrice”, così ben descritta nella sua abiezione dall’americano James Galbraith, la odiano a morte, ci odiano a morte. Sia, Presidente, colui che piazza la mina nei cingoli della loro macchina infernale, rivelandone l’inganno chiamato Euro e Trattato di Lisbona. Gli italiani non lo faranno. Non ne sono capaci.

Paolo Barnard

Professore, non le dico...

Che grazia ci fanno i dottori, i medici, i baroni, nel concederci un obolo del loro costoso, impagabile tempo! Sia la nostra dimostrabile malattia, risibile ipocondria, compatibile solitudine, essi ti fanno esistere nelle loro asciutte, lustre cornee cliniche, nel loro ermetismo grafico di iniziati. Ti congedano con in tasca quella minima ma inoppugnabile prova scientifica della tua tenace presenza in vita, se non della tua esistenza. Quel poco prezioso che basta alla riconoscenza dei tuoi giorni perché si possa morire, in serenità; così come dedicarsi a vivere, in rassegnazione.

7.11.11

Santo subito

"Accusare qualcuno di omicidio, qui, è come fare multe per eccesso di velocità ad Indianapolis."

Parata rombante per il caduto Simoncelli al sapor roboante di funerali di Stato per i suoi caduti esportatori di democrazia. Dinanzi a cotanto spettacolo di commovenza, capisco finalmente perché si continua a correre, come a combattere: l'uomo ha talvolta bisogno di piangere, senza vergognarsene.

6.11.11

LA MORTE DELLA POESIA

Fare poesia non è scrivere versi.
Non più di quanto nascere 
sia iniziare a vivere; morire, finire.
Non bastano, né forse aiutano,
la metrica o la filosofia: rime ed aforismi, 
come i tramonti, si incontrano sempre,
senza volervi né fermarli.
Fare poesia, è prepararsi alla morte 
non lasciandosi già morire,
d'ogni morte quotidiana 
che imita, patetica e giudiziosa,
quella morte che attende calma, nascosta, lontana.
Fare poesia è urlare, ma non scappare.



5.11.11

PERCHE' I SOLDATI

"Flashing for the warriors whose strength is not to fight"

I soldati, perché vanno?
Perché sono sempre andati?
Perché dell'innocente terrore
che ancora e ancora li fa andare
resta solo un colpevole orrore
che in questi occhi più non può sanguinare?


4.11.11

I PRIMI MINUTI

I primi minuti, negli incontri...
Quando tutto nasce: tutto, o niente.
Ciò che segue, che resta 

e spesso rimane, non è che affezione: 
nel gelo d'ogni vita, un soffio di calore.
Ma non comprende, non accetta,

capisce o finge, la massa dei mai soli, 
dei soli affezionati.
Crudele, come ogni vita dolente,
schernisce, e giudica, e lapida.