29.4.11

LE ROSE CHE NON

Quale nostalgia è più straziante
tra qualcosa dalle mani scivolato
e qualcosa che mai si è afferrato? 

Chiedo negli occhi di questi adolescenti
Cerco nella nostra distanza che non so colmare
Sento in questa parola ormai non più che suono: adolescenti.

Nome dato a qualcosa che non esiste in natura.
Dato in nome del nostro orrore da incomprensione,
la nostra ansia di rassicurante cognizione.

Questi adolescenti inesistenti.
Parte noiosi nella prevedibilità di gesti
parte odiosi nella mal celata innocuità di pensiero, di azione
parte invidiabili nell'inconscia resistenza di desiderio a rinuncia.


"La nostalgia di ciò che fu, può essere struggente. 
Ma quella di ciò che avremmo voluto fosse, che avrebbe potuto essere e non fu, deve essere intollerabile.

Antonio Tabucchi  

28.4.11

Appena terminato La breve vita felice di Francis Macomber, di Hemingway.
Ed io che credevo di essere un innato talento contemplativo degli umani paesaggi interiori, naturalmente alienato alla giusta distanza di messa a fuoco. E invece c'è così tanto da imparare, e anche qualcuno capace di insegnare, contrariamente al mio superbo pessimismo. Questo sudden excitement macomberiano, al pensiero, sembra non lasciare spazio e tempo ad alcun paralizzante complesso di inferiorità o astio frustrato, per ora. 

26.4.11

CAMBI DI STAGIONI

C'era un uomo su quel treno vuoto
del Venerdì Santo.
Un uomo in abiti alla moda, come appena comprati.
Un uomo vestito da ragazzo.

C'era un uomo come ce ne sono tanti nel mio paese:
affezionati all'aperitivo, abbonati al solarium.
Ma no, lui non era come loro: era pazzo quell'uomo.
Pazzo come quelli delle enoteche, dei centri estetici non sono.

Mi ha chiesto tra denti fragili, grigi: 'Dove va questo treno?'
Ho risposto con fretta e distacco adeguati all'imbarazzo;
con occhi bassi, fissi sulla piega morbida di quel blazer, la gomma immacolata di quelle suole;
con l'incolmabile mia assenza umana a questi momenti, a queste domande.

Ho risposto pensando alla boutique per bambini dove sfilavo nel cambio di stagione.
Il mio impaccio rabbioso riflesso dagli occhi vuoti della venditrice, gli occhi colmi di mia madre.
Quella mia pena che ancora c'era: la pena ancora umana, dolente 
per uno stipendio inadeguato, per un padre assente.

Pensando a chi ha vestito quest'uomo allora.
A chi forse sacrifica uno stipendio, una pensione, ancora.
Madri troppo ricche: malate di colpa, di debolezza.
Madri troppo povere: malate di pena, di impotenza.

Madri condannate a non dire, fare
mai a sufficienza.

25.4.11

LA SOTTILE LINEA

Da dove viene questa luce
sorta un mattino nei tuoi occhi?
Che cos'è questa luce
che un mattino ci ha portati lì, non altrove?
Noi, non altri?

Umane esistenze
commoventi nella loro fragile grazia,
foglie che il vento fa danzare.
Occhi sconosciuti e ignari
legati in un attimo, legati in una luce
che si serve di noi, che ha bisogno di noi
per venire al mondo:
dove e quando nemmeno lei sa.

Ma è un crudele vizio umano, troppo umano 
il perchè:
cercato nel vento, nella luce, nella vita.
Cercato invano in ciò che, soltanto 
è.


24.4.11

QUEL SABATO

Quel sabato, ti ricordi?
Com'è lontano in due mesi soli...
Lungo la strada avevo preso qualcosa
e già temevo il tuo 'Non dovevi'
Davanti alla tua porta ero troppo puntuale
e già vedevo il tuo imbarazzato affannarti.

Ti ho aspettata nel tinello silenzioso, composto, dignitoso
in cui ritrovare mie sere d'infanzia festive,
cercare forma, colore di tue ore non lavorative.
E che nostalgia avevo, di quel passato che non sapevo
E che paura, di quel presente, mio con coraggio
o niente.
Coraggio di cosa, non capivo allora.
Coraggio di amare, dico ora.

Amare chi non sai ancora.


23.4.11

LE STREGHE CHIEDEVANO PANE

Eccomi, oggi
Eletto, iniziato
alla fioca eco dei tuoi ieri

Viaggiatore cauto, smarrito
di luoghi che videro sbocciare i tuoi occhi:
cime sacre come rughe di anziani,
boschi mistici come ombre di cattedrali

Eccomi, qui
in petto già nostalgia
di ogni tuo sguardo un giorno posato
e dove, ormai, portato?

Negli occhi miei ciò che fu,
che mai vedrò come nei tuoi

Eccoci, oggi, qui
coscienza dura e necessaria,
la strada che dovevamo compiere 
tu ed io 
in solitudine del mondo,
in solitudine di noi.
Tu ed io
per essere oggi, qui,
per essere, noi.

Due sguardi, fatalmente due
ma su un solo mondo.
Due vite, fatalmente due
ma su una sola strada.


19 Ottobre
A Cris, gioia che afferra improvvisa in un giorno qualunque


19.4.11

BALLATA DEI PADRI

Guarda 
questi uomini,
questi vecchi bambini.
Guardali al fianco dei loro nuovi bambini.

Guardali ora 
che un residuo pudore, forse, 
li coglie nudi in questa luce nuova, 
questa luce di primavera, il suo nudo odore.

Guarda 
quell'impacciata estraneità,
quel disperato cameratismo,
quell'impotente insofferenza

Di chi non ha mai scelto,
di chi ha scelto più debolmente
o solo meno tempestivamente di lei.
Lei che può non scegliere, lei che ha l'istinto: 
istinto animale che preserva dall'accidia, se non dal male. 

E tu cosa sei, lo sai? 
Sei un padre? Lo sarai mai?
E come, sarai? 
Simile o diverso? Conservazione o contrappasso
di ciò che un tuo simile è stato?

Ciò che un tuo simile ha dovuto, senza tempo né forza di scelta, forse, 
essere per te. 


18.4.11

Habebamus Nanni

"Il cinema non si fa così, perché si hanno delle idee..."

Michele Apicella - Sogni d'oro


La messa è finita? 

Quando - correva l'anno 1998 - scoprii Nanni Moretti, egli era già un intoccabile della "cultura" italiana, sinistroide e non. Avrei così benedetto non poco il mio anacronismo esistenziale, e relativo candore cinematografico, che mi avevano concesso di amare Bianca libero da antipatie o sudditanze aprioristiche, ancora oggi commuovendomi fieramente dinanzi a quel grido di alienato dolore ed intatti - caso raro anche nelle sensibilità artistiche - pudore e dignità. 
Pochi altri i miei personali indimenticabili, dopo quell'esordio: senz'altro l'irripetibile necessarietà di Ecce bombo, meno la goffaggine a tratti straziante de La messa è finita, maggiormente le audaci sgrammaticature di Sogni d'oro; apprezzabile l'intenzione, infine, di cauta svolta nel variamente sapiente La stanza del figlio. Inutile Aprile ed odioso il - pluriosannato, manco a dirlo - Caro diario. "Film" riassumibile nella chiosa di un cineasta amico mio, che cito a braccio: 'Avrebbe stroncato la carriera a qualsiasi esordiente!'

Quanto al Moretti personaggio, intra ed extrafilmico, esulando dalla questione di diritto-dovere civico dei Girotondi, ed al netto delle pruriginose curiosità salottiere à la Dandini - pasciute braccia iniquamente sottratte all'insaponatura in qualche salone di acconciatura - direi, alquanto lapalissianamente, che se le tue creature hanno gambe per camminare da sole, tu padre puoi permetterti di essere e di fare quasi tutto ciò che vuoi - eloquente in tal senso, anche se non verificata, quella del ritardatario arrivo morettiano in una sala, e della pretesa, immaginabile isterica dato il soggetto, di far ripartire dall'inizio la proiezione - ma al primo figlio rachitico che ti scappa, non si può neppure negare alle masse che, si sa, sono tendenzialmente forcaiuole, il diritto di pubblica lapidazione - beninteso, intellettuale - a partire dal primo livoroso Ghezzi sino all'ultimo scostante tesserato di Blockbuster - ammesso ne esistano ancora.

A  proposito, dunque, di nati settimini ("Sformato è sformato: sembra un aborto!" - avrebbe ammesso il Conte Mascetti), veniamo finalmente a questo Habemus Papam. Fiacco, noioso, non regge alla distanza: né in termini di sviluppo di un'idea iniziale tutto sommato fertile, oltre che - ma non ho sufficiente cultura filmica per affermarlo - originale; né in termini di vis comica e straniante (ma credo che un Buñuel non mi perdonerebbe la bestemmia, dunque ritiro); né - e qui c'entrano poco filo o anticlericalismo, ma piuttosto un minimo di amore per la filologia - la rappresentazione indifendibilmente semplicistica di una società in parte segreta, dunque complessa e potenzialmente affascinante, come quella ecclesiastica. Capisco che dipingere porporati ed establishment vaticano solo come una massa di nonnini candidi ed arteriosclerotici, sia strada maestra per strappare - sparute, invero - risa di pancia (la caduta iniziale durante il blackout è degna del peggior Verdone o dei migliori Vanzina, a scelta) ma non appena gli isterici spasmi si smorzano - e per quanto mi riguarda ciò è avvenuto amaramente presto, anche a fronte dei 6 euro e 50 spillatimi - emerge impietosamente tutta la pochezza di sorta. Non è questione di timore reverenziale: mi figuro semmai i sollazzi di quegli annoiati nonnetti, più simili a quelli del nostro ex premier o dei quattro poteri della Salò pasoliniana, che dell'avventore medio di un dopolavoro: per ciò mi sarei aspettato un po' più di pudore in termini di didascalismo. Per carità, sempre compatibilmente con un congenito "narcisismo ai limiti dell'autismo" d'autore.

Ora, la tentazione di andare avanti ci sarebbe... Una su tutte: esimio Moretti, con tutto il rispetto per l'elaborazione umana del suo lutto da separazione, almeno autorialmente cerchi di farsene una ragione in tempo per la sua prossima fatica filmica, e risparmi così a noi incolpevoli, ed a lei stessa, una Buy francamente stucchevole, oltre che diegeticamente inutile. Ma lei mi è troppo caro, artisticamente parlando, per infierire sfrenatamente senza conseguenti rimorsi. In fondo anche le prime - rigorosamente false - Clarks le comprai in suo onore. Dunque chiudo con una nota, purtroppo ancora mesta, sull'unanimemente grande Piccoli: corale encomio con il quale posso concordare solo in parte, entro gli angusti confini della mia ignoranza dell'idioma transalpino. Cui, irrefrenabile, si associa un perché: perché, ad ogni suo minimo capolino cisalpino, lo si sbatte sistematicamente ad errare spaurito e pateticamente lunare per una sempre più odiosa Capitale? Beh, perlomeno nella circostanza ci è stato risparmiato il pedinamento della badante ante litteram Argento (Compagna di viaggio, n.d.a.). Sì, dai, quella dell'imprescindibile Scarlet Diva, L'Angelo della vendetta de noantri, Zora la pariola! A proposito... andò mette li dischi, mò?


17.4.11

COATTO

Ho visto anime 
di limpida bellezza
Morire
arse di vita.

Le ho viste urlare e scalciare pazzia
Soffocate
dal silenzio straziante dei sanatori.
O barcollare dopo lo stupro...
Bambole spezzate, vuote 
di dolore.

E le ho viste dimenticare,
un giorno dopo l'altro,
Bagnando le labbra
all'aria morta del sopravvivere.

Inverno 1998


14.4.11

Io speriamo che me la cavo

"Ci sono leggi ad personam perchè si fanno processi ad personam."  
(Vittorio Feltri, quello della prostata berlusconiana, anche giurista)

'Purtroppo non so come siete in tanti e molti qui davanti ignorano quel tarlo mai sincero che chiamano pensiero.' 
Come cantava, e mi piace pensare che qualche volta ancora canti, lui: dovremmo chiedercelo, ma sul serio, come mai siano in tanti. Che l'ironia è ormai debole, e colpevole, come forma di dissociazione.
E sprezzante di ogni rischio di retorica, per quanto mi riguarda vado a ricrearmi come segue...



13.4.11

LE SIGARETTE DELLE DOMENICHE 

Le sigarette delle domeniche
che giacciono appartate. In mattine vuote, tra pareti stropicciate.

Le sigarette delle domeniche
l'una dall'altra separate. Piano o d'un tratto: come facce, voci, strade attraversate. 

Le sigarette delle domeniche
colme e poi vuotate. Di qualcosa che è stato: appena ieri, quando domani sembrava ignoto o dimenticato.

Le sigarette delle domeniche
che serviranno a qualcuno. Come serve in silenzio un vecchio compagno di solitudine.
O andranno gettate, tra propositi e maledizioni, come un gioco rotto a fine estate. 
Come impaccio di un'età che non si vuol più avere, nè ancora ricordare.

Le sigarette delle domeniche 
che non sono bruciate. Di ore attese, ore mai arrivate, ore solo sperate.

Le sigarette delle domeniche
che sanno di ieri ormai lontani arsi nell'alba di domani. 


12.4.11

Come fosse mea culpa

"Un autore, quando è disinteressato e appassionato, è sempre una contestazione vivente".

Faccio pubblica ammenda a proposito di Massimo Fini. Una delle poche voci che per autorevolezza e libertà valga la pena ascoltare, a mio giudizio. Giudizio tardivo, ostruito fino a poco tempo fa dalla scarsa intelligenza del mio pregiudizio e dalla presuntuosa indifferenza ad un'altra voce, disinteressata e sinceramente amica, che al riguardo avrebbe potuto scuotermi da tempo la coscienza. Una voce che forse leggerà e si riconoscerà in queste righe ed a cui va il mio ringraziamento, tanto sincero quanto tardivo.

11.4.11

PASSATO

I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire 
che m'appartieni
e qualche cosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
Tutto finì, così rapito!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo saperlo che l'amore
brucia la vita e fa volare il tempo.


Vincenzo Cardarelli 

10.4.11

NOVEMBRE

E rimarrai quell'istante rubato.

Anima lieve, 
svanita nel soffio freddo dei suoi sogni.
Dimenticando in me quegli occhi:
gli occhi veri di noi bambini perduti.

7.4.11

GIORNO D'ESAME

Solo, di buon'ora autunnale:
un piazzale bigio come d'ospedale.
Ansia che ancora rode
una lisa ambizione
all'ennesima vana lode,
Vedo te su questo muto portone.

In te, mia madre. Sensibilità 
battezza questa figlia ritrovata:
la mia gracile diversità.
Con dita pallide sfiorata
di pena gravida, invano obliata.
 
Le resta ignoto il suo calore, 
la sua luce sulle assi del mondo:
Su ogni mio atto giunto in fondo,
oltre il buco del suggeritore. 

                                                                                 7 Ottobre 2010 


- E' lo stesso: il palcoscenico puoi attraversarlo più o meno alla svelta. Non conta il tempo che ci metti, conta il modo in cui lo attraversi. L'importante, quindi, è attraversarlo bene.
- E cosa significa attraversarlo bene?
- Significa non cadere nel buco del suggeritore. 

Oriana Fallaci - Niente e così sia 

6.4.11

LA STAGIONE

Sei tu la mia stagione 
d'ogni più ingenuo magone.
Dal sonno di stanca ragione
l'eterno risveglio d'illusione.

Sei tu mia primavera:
terra fertile, straniera.
Ti attraverso clandestino
ancora solo nel cammino
di ritorno al volto paterno 
avvolto in un lontano inverno.

Ancora figlio, solo invocante 
una voce grave, rassicurante.

3.4.11

Profughi o clandestini

Il punto di vista di Dio.